domenica 23 gennaio 2011

Colloqui eucaristici





1. VOLONTÀ E FIDUCIA

A - "Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a Te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio Vivente. " (salmo 42 -1, 3)

Tu solo hai l'acqua che disseta ogni arsura: la tua misericordia, il tuo amore, la tua parola, la tua grazia. Per questo vengo a te, bisognoso della tua misericordia, assetato della tua parola.

Desidero darti l'adorazione, la riparazione, la lode e la gloria che ti sono dovute, insieme con il ringraziamento più vivo per avermi dato la fede nella Tua presenza nel SS Sacramento, testimonianza del Tuo amore infinito.

Lo Spirito Santo mi assista in questo mio desiderio, riempia il mio cuore e lo accenda col fuoco del suo amore così che io possa presentarti l'offerta di tutto me stesso. So di essere nulla davanti a te, e ti prego di accettarmi come sono, ma anche di trasformarmi interiormente secondo i tuoi desideri.

D'altra parte Tu sai tutto di me, mi conosci più di quanto mi conosco io, perché sono uscito dalla tua mente, anzi dal tuo Cuore, e Tu mi segui come il Padre segue la sua creatura, e non le lascia la mano perché non cada.

Desidero unirmi a Te con un colloquio confidenziale, un colloquio d'amore. Tu sei l'Amore Infinito che mi ama e mi custodisce con la dolcezza di cui nessun altro è capace.

Tu sei l'Amore Onnipotente che prova una gioia immensa nel difendermi da ogni male, nel proteggermi in ogni contrarietà, nel sostenermi in ogni difficoltà, nell'aiutarmi a risolvere i miei problemi esistenziali.

Se questo non è sempre avvenuto, è solo perché io non ho pensato a Te come Tu pensavi a me, è solo perché io ho dimenticato il tuo amore mentre Tu aspettavi invano che io ti amassi; è solo perché, invece di rivolgermi a Te, mi sono egoisticamente chiuso in me stesso, per ascoltare le voci del mondo che mi seducevano.

Nel pregarti finora ho quasi sempre parlato. Ora vorrei ascoltarti perché Tu solo hai parole di vita eterna.
Che cosa devo fare, o Signore, per udire la tua voce, per calmare la mia ansia di Te, per saziare la sete della tua parola? "

- "Fai silenzio dentro di te. Allontana il pensiero delle persone, delle amicizie, delle preoccupazioni. Il tuo pensiero sia per un poco solo per Me, presente nella Santa Eucaristia.

Entra nei miei pensieri, abbandonati a Me senza riserva ed Io ti farò sentire l'abbraccio triplo e uno della Trinità Divina.
Credi che non sia possibile? Che Io non possa farlo? Abbi fede nella mia parola che tutto può.
Io ho detto: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo". (Mt. 26 - 26)

Non ho detto: "Questo rappresenta il mio corpo, questo è il simbolo del mio corpo, ma questo è il mio corpo". Ho mutato la sostanza del pane nella sostanza della mia carne, lasciando solo le apparenze del pane, perché voi non aveste timore di avvicinarvi a Me.

Ma Io sempre sono vicino a voi, con tutto me stesso Vivo e Vero.

La stessa cosa ho fatto dicendo: "Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti in remissione dei peccati" (Mt. 26 - 27,28)
Con il mio sangue vi ho redenti, con il mio sangue purifico le vostre anime ogni volta che mi chiedete perdono con il sacramento della Penitenza.

Come altre volte che ti sono passato accanto senza che tu Mi degnassi di uno sguardo, anche oggi sono presso di Te. Non allontanarmi. Afferrami con la decisa volontà di non lasciarmi più.

È la volontà che devi rendere salda: è questo il campo che devi coltivare perché è il solo che è Tuo.

Senza la tua libera volontà Io non posso fare nulla. Non lasciarti distogliere dallo spirito del mondo che vuole affascinarti con le sue lusinghe. Non sono che menzogne.

La materia, il corpo: è fango.
Non dice la Genesi che Dio prese del fango e ne forgiò il corpo dell'uomo?

La vanità, la sensualità, l'orgoglio, ogni egoismo: è falsità; è servirsi di cose che non hai fatto tu, che non sono te, per apparire quello che non sei; è aderire allo spirito del mondo e l'anima non veda più le cose di Dio, e la mente non le intenda più, e il cuore ne abbia nausea, e la volontà le rifiuti.

Poi vi rattristate per l'amarezza che turba i giorni e le notti, per i rimorsi che non danno pace, mentre lo scoraggiamento penetra nel cuore e induce all'abbandono del campo...
Così la disfatta è completa e la volontà è già morta.

Poi vi lamentate perché non vi sentite realizzati, tanto è vuoto il vostro cuore.
Non è con il fango che potete riempire il vostro cuore per sentirvi realizzati."

A - " È lo spirito del mondo che spesso mi prende, mi condiziona, mi coinvolge. Cosa devo fare? "

R - "Se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve il Padre mio lo onorerà" (Gv. 12 - 26)

Figli miei, vi ho dato la Croce. Amatela anche voi perché per essa avrete la salvezza. Vi ho dato il pane della vita prima di morire: prendetelo, gustatelo. In esso pane Io ci sono con tutto il mio amore. Con quanta gioia mi dono a Voi, ma quanto amaro, quanto fiele quando sono ricevuto da un'anima non pura.

Rendi limpida la tua anima e luminoso il tuo cuore, perché solo così renderai efficace la tua volontà e la mia presenza.

È questo che Io, il tuo Dio, ora ti chiedo: dammi la tua volontà e con essa dammi il tuo cuore puro, perché diventi la mia dimora, il luogo del mio riposo. "Prepara per me un'ampia sala dove cenare" (Lc. 22 - 12) "e farò Pasqua presso di te con i miei discepoli". (Mt.14 -15)

La volontà te la chiedo come un mendicante perché il mio amore per te non ha limiti e ti vuole in pace, colmo di gioia, somigliante a Me.
Se ciò non fosse possibile, te lo chiederei Io?

Il Padre mio vi riconosce se volete assomigliare a Me. Se vede in voi le mie sembianze, dimentica la giustizia per essere solo misericordia. Ne avete tanto bisogno! Temi di non riuscirci? Ti scoraggia il tuo passato? Affidati a Me e sii umile. Da solo non ci riusciresti, ma con Me giungerai a dire anche Tu: "Tutto posso in Colui che mi conforta". Non sono Io il Creatore dell'universo? Non ho Io comandato ai venti e alle tempeste, alla vita e alla morte?

"Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete" (Gv. 6 - 35)
"Tutto ciò che il Padre mi dà, viene a me; colui che viene a me non lo respingerò" (Gv. 6 - 37)

Mi servono però due cose da te: la tua volontà e la tua fiducia.
Poi farò tutto Io.

La tua volontà mi è indispensabile perché Io non posso andare contro la tua libertà. Ma se liberamente vuoi sforzarti di vivere con Me, vuoi camminare con Me, Io, tuo Salvatore, mi metto a tua disposizione. Sono pronto a servirti; cosa vuoi di più?

Pensa che quando vuoi una cosa tu la realizzi. E questo avviene anche nelle cose spirituali: preghi per suffragare un'anima al Purgatorio? Tu l'hai già suffragata.
Offri qualche sacrificio per una famiglia in difficoltà? Tu l'hai già aiutata.
Ti sacrifichi per portare una persona alla fede viva? Il tuo sacrificio non resterà senza frutto.
Preghi, soffri in espiazione dei tuoi peccati? Hai già espiato.

L'importante è che tu voglia veramente agire con un'azione pronta, sincera, prima dentro di te e poi fuori di te, cercando l'annientamento continuo di tutto ciò che può deturpare il mio volto riprodotto nel tuo.

Dammi il piccolissimo granello della tua volontà, dimostrata dagli sforzi, dai sacrifici necessari a costruire in te le mie sembianze: l'amore alla vita di grazia, alla virtù, alla verità.

Questo è quanto ti chiedo. Se tu non mi dai la tua volontà Io non posso darti il Bene che tengo in serbo per te. E sapessi quanto è grande!
Non posso neppure farti sentire tutta la gioia che posso donarti e di cui il tuo cuore ha bisogno. Ne moriresti!

Ti chiedo una volontà concreta, ferma, costante, non la velleità di un giorno, o di qualche tempo, perché la tua anima mi è cara da sempre e lo sarà per sempre in una maniera unica, e nel mio cuore ha un posto che nessuna altra può occupare.

La tua anima ha anche una missione che nessun'altra compirà per lei. E questo nella tua vita personale come verso i tuoi fratelli, figli di Dio.

Non attendere un minuto. Dammi quanto ti chiedo con il cuore gonfio d'amore, mentre tu adori il mio Amore, nell'Eucaristia.

E non dire mai: "Io non posso, non ce la faccio". Che cosa sei per giungere a questo rifiuto?

Non sei più una persona umana? Sei un essere irragionevole? Sei senza spina dorsale e senza dignità? In questo caso riconosciti ammalato e ricorda che lo ho dichiarato di non essere venuto per i sani, ma per gli ammalati. "Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mt. 9 -13)

E dammi anche la seconda cosa che mi è indispensabile: dammi tutta la tua fiducia ed Io ti porterò sulle mie braccia, verso la meta migliore. Fiducia è abbandono totale al mio cuore, come il bambino si abbandona sul cuore della madre.
"Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non vi entrerà" (Lc. 18 -17)

Di che cosa hai paura? Di perdere le amicizie del mondo? Di non poter più realizzare i tuoi progetti? Di sembrare troppo diverso dagli altri?

Se hai bisogno di amicizia, se hai bisogno d'amore, vieni a Me che ne sono l'autore: Io sono l'Amore, quello vero, che quando lo avrai capito, ti riempirà talmente l'anima, il cuore, la vita, che non potrai più farne senza.

Pensa alla tua famiglia di oggi, al tuo matrimonio di domani perché questa è la tua vocazione? Io farò di te un grande albero che, pur toccando terra con le radici, avrà la chioma ondeggiante verso il cielo; e il tuo coniuge e i tuoi figli trarranno da esso la duplice vita, quella fisica e quella spirituale, e in te avranno la loro pace e il loro riposo, e il loro cuore sarà il riposo della Trinità Divina.
Capisci cosa significa ciò? La tua famiglia sarà luce ad altre famiglie e tutte insieme sarete la mia gloria.

Non sta scritto che "La gloria di Dio è l'uomo vivente"? Temi ancora?

"Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore". (Gv. IS-9)

- "Tutto questo è meraviglioso, ma spesso quasi temo di essere messo in ridicolo".

R - "Lo so che nel tuo cuore c'è la paura del ridicolo, ma ricorda che farà mai nulla di grande chi non disprezza il ridicolo degli stolti.
Il ridicolo è l'arma più subdola del demonio, è l'arte più stupida dei mentecatti.

Quanto ridicolo hanno gettato su di Me negli anni della mia vita pubblica e nei giorni della mia Passione! Hanno ridicolizzato anche la mia Regalità e la mia Divinità. Se mi fossi fermato per paura del ridicolo, tu non avresti la vita eterna.
Come vedi, ho meritato la tua fiducia.

Ora tocca a te non deludermi, e mentre Mi adori nell'Eucaristia, pensa che Io ero già Ostia, perché già vittima, nell'Orto degli Ulivi: vittima per i tuoi peccati, vittima per amore tuo. Quello che ho sofferto nell'Orto è stata la mia prima agonia.
Perché avrei sudato sangue?

E ricorda: "Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell'uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi": (Le. 9-26)

Dimmi. Ho meritato la tua fiducia?
Chi più di Me ti ha dimostrato di amarti?

A voi miei amici, dico: "Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla. Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, ve lo dico, temete Costui" (Lc.12 - 4, s)

Unisciti a Me. Dimmi che Mi sei vicino, che vuoi esserlo sempre, e Io ti prenderò nel mio cuore, e insieme ci offriremo al Padre per quanti Mi sono lontani, per le famiglie non cristiane, per le famiglie disunite; per il mondo che è senza pace perché è senza Amore.

Insieme lavoreremo perché sorgano famiglie sante, insieme faremo diga, una grande diga capace di arrestare e arginare la fiumana di acque putride che tentano di travolgere tutto e tutti, e che possa contrapporsi al potere ormai imperante e distruggitore delle tenebre.

Le tue titubanze, le tue debolezze, le tue cadute offrile a Me e Io le nasconderò nel mio Cuore, perché Io, che ho tanto sofferto, so quanto esse ti fanno soffrire.

Io ho detto: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero". (Mt. 11- 28, 30)
"Io sono il pane della vita. Il mio sangue versato per voi è il vostro ristoro".

Ti scoraggi per i tuoi peccati?
Anima mia diletta, anima a Me tanto cara, non credi ch'Io preferisca un'anima che cade di frequente, ma che si disprezza ai miei piedi, ad un'altra sempre soddisfatta di se stessa come se non avesse nulla da rimproverarsi?

Dimmi ogni giorno il tuo pentimento. Offrimi le tue colpe perché Io le ripari. Riconosci la tua debolezza, e umiliati riconoscendo quello che sei.
Dimmi: "Aiutami, sai che sola non posso niente, con Te posso tutto".
E riprendi la tua strada con fiducia in Me, ogni giorno. Capisci?

Anche se non vedi nessun progresso, fortifica la tua pazienza, prendi un gran coraggio. Non me ne è occorso tanto salendo il Calvario? Non me ne occorre tanto per rimanere nel tabernacolo nonostante le profanazioni e gli orribili sacrilegi?

Non allontanarti da me per volere tuo e, quando le distrazioni, le tue debolezze ti allontanano, ritorna, come se non fossero mai esistite.

Se cadi, ma ritorni a Me pentito per amore, metti il tuo cuore nel mio, e dal profondo del tuo abisso gridami: "Gesù, Ti amo nonostante tutto", lo asciugo le tue lacrime, e ti abbraccio, e ti bacio.

E non dimenticare ciò che disse il mio apostolo Giovanni: "Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (Gv. I Lettera 4 -10)

E non dimenticare che, poiché ti amo, ho messo accanto a te la Vergine mia Madre, perché fosse anche la Madre tua.

È Lei che ti ha preso come un bambino malato e ti ha buttato tra le mie braccia.
Unisciti ogni giorno a mia Madre, con sincere parole d'amore, con espressioni più vive, più vere, che vengano dal profondo del tuo cuore. Ella ti farà crescere verso di Me, perché porterà Me dentro di te, e vivremo in comunione. Una comunione che più nulla e nessuno riuscirà a spezzare, perché sarà fatta di reciproca fiducia e di reciproca tenerezza, e riuscirai a camminare verso la meta che lo ho fissato per te.

Non contare su di te. Conta sull'aiuto della Madre che, poiché Madre mia, può tutto per i figli che Io le ho dato.
Come mia Madre non Mi lasciava mai perché il suo Cuore era sempre nel mio, anche tu impegnati a non lasciarmi mai. Le tue parole, i tuoi gesti, ne verranno modificati. Fai questo per imitare la Madre, fallo con amore, non con paura.

Io sono il povero Agnello di Dio.
Questo mio nome non ti dice con quanta dolcezza Io ti cerco?

Non ricordi che "il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto?': (Lc. 21- 33)
Perché non tendi la tua mano verso di Me? Perché non mi apri il tuo cuore?
Devi salire, e ti cerco per questo. Ma poiché non si sale senza fatica, hai bisogno di aiuto, di tanto aiuto. Per questo ti ho messo accanto la Madre.

Ecco le mani sante della Madre mia e tua pronte a prendere le tue, a sorreggerti, a guidarti. Ecco il suo Cuore grande e dolcissimo a riversare su di te comprensione, amore, tenerezza. Da quel Cuore imparerai ad amarmi, ad assomigliarmi, a venire a Me che ti attendo nell'Eucaristia.

Però mai niente da solo. Lavora con la Madre Santa. Unisci la tua voce alla sua, mi giungerà sempre. Unisci i tuoi sforzi al battito del suo Cuore, Mi commuoveranno sempre, ed Io sarò con te."


Preghiere e Invocazioni


VIENI SPIRITO SANTO



Vieni Spirito Santo, manda a noi dal cielo un raggio della Tua luce. Vieni Padre dei poveri, vieni datore dei doni, vieni luce dei cuori. Consolatore perfetto, ospite dolce dell'anima dolcissimo sollievo. Nella fatica riposo, nella calura riparo, nel pianto conforto. O luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli! Senza la Tua forza nulla è nell'uomo nulla senza colpa. Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. Dona ai tuoi fedeli
che solo in Te confidano i Tuoi santi doni. Dona virtù e premio dona morte santa dona gioia eterna. Amen.


MISERERE


Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua bontà cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato. Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto; perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio. Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre. Ma tu vuoi la sincerità del cuore E nell'intimo mi insegni la sapienza.


Purificami con issopo e sarò mondato; lavami e sarò più bianco della neve. Fammi sentire gioia e letizia, esulteranno le ossa che hai spezzato. Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo Santo Spirito. Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso. Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno.


Liberami dal sangue, Dio mia salvezza, la mia lingua esalterà la tua giustizia. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode; poiché non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, non disprezzi. Nel tuo amore fa grazia a Sion, rialza le mura di Gerusalemme. Allora gradirai i sacrifici prescritti, l'olocausto e l'intera oblazione, allora immoleranno vittime sopra il tuo altare. (Davide, Sal. 50)


COMUNIONE SPIRITUALE


Gesù mio,
Ti amo sopra ogni cosa e Ti desidero nella mia anima. Poiché ora non posso riceverti nella Santa Comunione, vieni in me spiritualmente...
Sei venuto ed io mi unisco a Te.
Santificami e fammi vivere nella tua volontà. (Breve raccoglimento)

Eterno Padre,
io Ti offro il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo, in riparazione dei miei peccati, in suffragio delle anime sante del Purgatorio, per le necessità della Santa Chiesa e del mondo intero.

Ti supplico,
per i meriti del Sangue preziosissimo del Figlio Tuo, annienta in me quanto non piace a Te,
così che io diventi una piccola ostia nella quale il Figlio Tuo venga a regnare e si vedano le meraviglie della Trinità Divina.


A GESÙ SACRAMENTATO


Anima di Cristo santificami, Corpo di Cristo salvami, Sangue di Cristo inebriami, Acqua del costato di Cristo lavami, Passione di Cristo confortami. O buon Gesù, esaudiscimi, dentro le Tue piaghe nascondimi, non permettere che io mi separi da Te, dal nemico maligno difendimi, nell'ora della mia morte chiamami, e fa ch'io venga a Te per lodarTi con tutti i Santi nei secoli dei secoli. Amen.



SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO




Dio fedele,
che nutri il tuo popolo con amore di Padre, ravviva in noi il desiderio di Te, fonte inesauribile di ogni bene: fa che, sostenuti dal sacramento del Corpo e Sangue di Cristo, compiamo il viaggio della nostra vita, fino ad entrare nella gioia dei santi, tuoi convitati alla mensa del Regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo, Tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.


O Padre,
per la tua benevolenza la creazione continua e sorge il sole sui buoni e sui cattivi: libera l'uomo dal peccato che lo separa da Te e lo divide in se stesso. Fa che, nell'armonia interiore creata dallo Spirito, diventiamo operatori di pace e testimoni del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo, Tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen. (dalla liturgia del "Corpus Domini')





O DIVINISSIMO SANGUE


Divinissimo Sangue,
che sgorghi per noi dalle vene del Dio fatto uomo, scendi come rugiada di redenzione sulla Terra contaminata e sulle anime che il peccato rende simili a lebbrosi. Ecco, io Ti accolgo,
Sangue del mio Gesù, e Ti spargo sulla Chiesa, sul mondo, sui peccatori, sul Purgatorio. Aiuta, conforta, monda, accendi, penetra e feconda, o Divinissimo Succo di Vita. Nè ponga ostacolo al tuo fluire l'indifferenza e la colpa. Ma anzi, per i pochi che Ti amano, per gli infiniti che muoiono senza di Te, accelera e diffondi su tutti questa divinissima pioggia, onde a Te si venga fidenti in vita, per Te si sia perdonati in morte,
con Te si venga nella gloria del Tuo Regno. Così sia. (dalle "Preghiere" di Maria Valtorta)


PREGHIERA EUCARISTICA

A Gesù Crocifisso

Eccomi, o mio amato e buon Gesù: che alla santissima tua presenza prostrato Ti prego col fervore più vivo di stampare nel mio cuore sentimenti di fede, di speranza, di carità, di dolore dei miei peccati e di proponimento di non più offenderti; mentre io con tutto l'amore
e con tutta la compassione vado considerando le Tue cinque piaghe cominciando da ciò che disse di Te, o mio Gesù, il santo profeta Davide: "Hanno forato le mie mani e i miei piedi; hanno contato tutte le mie ossa".


O Pane vivo,

memoriale della morte del Signore, fa che io gusti quanto è soave vivere in Te e in Te sperare. Nell'onda pura del Tuo Sangue immergimi, mio Redentore: una goccia sola è un battesimo che rinnova il mondo intero. Fa che io contempli il Tuo volto nella Patria beata del Cielo, con il Padre e lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.


PER I SACERDOTI

Vergine Santa, fa che ogni Sacerdote creda profondamente nell'Eucaristia, che sia innamorato di Lui sacramentato fino a morirne, perché solo allora potrà essere veramente padre e fratello, maestro e guida, conforto e salvezza per le anime. Solo all'ombra del Tabernacolo potrà essere quale il popolo di Dio lo desidera: luce che illumina, sale che preserva, fiamma che unisce l'umanità peccatrice al Dio delle misericordie e la terra al cielo. Amen.


AMORE E ADORAZIONE

O mio Dio, Gesù Eucaristia che adoro, aiutami a dimenticarmi interamente, per fissarmi in Te, assorto e quieto, come se la mia anima fosse già nell'eternità. Nulla possa turbare il nostro colloquio, nè farmi uscire da Te, o mio Gesù nascosto, ma che ad ogni istante io mi immerga sempre più nelle profondità del Tuo mistero eucaristico. Purifica l'anima mia, rendila Tuo cielo, Tua prediletta dimora e luogo del Tuo riposo. Che io non Ti lasci mai solo nel Santo Tabernacolo, ma tutto io sia vigile e attivo in tutti i Tabernacoli del mondo con la fede, l'adorazione, la riparazione, pienamente abbandonato alla Tua azione redentrice. 

O amato mio Crocifisso per amore, mio amato Gesù fatto mio cibo, vorrei essere una sposa per il Tuo cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti... fino a morirne! E farmi amare dal mondo intero. Ma sento tutta la mia impotenza, e Ti prego di rivestirmi di Te, di identificare tutti i movimenti della mia anima a quelli dell'anima Tua, di sommergermi, di invadermi, di sostituirTi a me, affinché la mia vita non sia che un riflesso della Tua Vita. 

Vieni in me, nella Eucaristia come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore. O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad adorarTi e ascoltarTi; voglio rendermi docilissimo ad ogni Tuo insegnamento, per imparare tutto da Te; e poi, nelle notti dello spirito, nel vuoto, nella lotta più aspra, nell'impotenza, voglio fissarTi sempre e starmene sotto il Tuo grande splendore. O mio Gesù Eucaristia, Astro adorato, affascinami, perché non possa più sottrarmi alla Tua irradiazione. 

O Fuoco consumatore, Spirito d'Amore, discendi in me perché si faccia dell'anima mia quasi una incarnazione del Verbo, una adorazione perpetua del Suo Corpo e del Suo Sangue. Che io Gli sia un prolungamento di umanità, in cui Egli possa rinnovare tutto il Suo Mistero culminante nell'Eucaristia. E Tu, o Padre, chinati verso la Tua povera, piccola creatura, coprila della Tua ombra, non vedere in essa che il Diletto nel quale hai posto le Tue compiacenze, in attesa che io venga a contemplare nella vostra Luce l'abisso della vostra grande misericordia. Così sia.


Colloqui Eucaristici
Nota
Le preghiere del precedente capitolo servono per introdurre le meditazioni che seguono nel prossimo capitolo, ad ognuna delle quali si può tuttavia far precedere le seguenti giaculatorie:

Sia lodato e ringraziato ogni momento Gesù nel Santissimo Sacramento. Gloria al Padre...

Gesù mio, ti amo e ti adoro in tutti i tabernacoli del mondo specialmente in quelli dove sei più offeso e abbandonato. Gloria al Padre...

Gesù mio bene, mio immenso amore, ferisci e infiamma questo mio cuore sì che arda sempre di amore per te. Gloria al Padre...

Mio dolce Gesù, mio dolcissimo Signore, prendi possesso della mia anima e del mio cuore.
Gloria al Padre...

Salmi

Il buon pastore - capitolo 23

[1]Salmo. Di Davide.


Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;


[2]su pascoli erbosi mi fa riposare
ad acque tranquille mi conduce.


[3]Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.


[4]Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.


[5]Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.


[6]Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.


Il Signore, mia parte di eredità - capitolo 16

[1]Miktam. Di Davide.


Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.


[2]Ho detto a Dio: «Sei tu il mio Signore,
senza di te non ho alcun bene».


[3]Per i santi, che sono sulla terra,
uomini nobili, è tutto il mio amore.


[4]Si affrettino altri a costruire idoli:
io non spanderò le loro libazioni di sangue
né pronunzierò con le mie labbra i loro nomi.


[5]Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.


[6]Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi,
è magnifica la mia eredità.


[7]Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio cuore mi istruisce.


[8]Io pongo sempre innanzi a me il Signore,
sta alla mia destra, non posso vacillare.


[9]Di questo gioisce il mio cuore,
esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,


[10]perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro,
né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.


[11]Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena nella tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.

Preghiera della sera - capitolo 4

[1]Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Salmo.
Di Davide.


[2]Quando ti invoco, rispondimi, Dio, mia giustizia:
dalle angosce mi hai liberato;
pietà di me, ascolta la mia preghiera.


[3]Fino a quando, o uomini, sarete duri di cuore?
Perché amate cose vane e cercate la menzogna?


[4]Sappiate che il Signore fa prodigi per il suo fedele:
il Signore mi ascolta quando lo invoco.


[5]Tremate e non peccate,
sul vostro giaciglio riflettete e placatevi.


[6]Offrite sacrifici di giustizia
e confidate nel Signore.


[7]Molti dicono: «Chi ci farà vedere il bene?».
Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto.


[8]Hai messo più gioia nel mio cuore
di quando abbondano vino e frumento.


[9]In pace mi corico e subito mi addormento:
tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare.

Potenza del nome divino - capitolo 8

[1]Al maestro di coro. Sul canto: «I Torchi...».
Salmo. Di Davide.

[2]O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:
sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.


[3]Con la bocca dei bimbi e dei lattanti
affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.


[4]Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,


[5]che cosa è l'uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell'uomo perché te ne curi?


[6]Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato:


[7]gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi;


[8]tutti i greggi e gli armenti,
tutte le bestie della campagna;


[9]Gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
che percorrono le vie del mare.


[10]O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.

Invocazione fiduciosa - capitolo 13

[1]Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.


[2]Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi?
Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?


[3]Fino a quando nell'anima mia proverò affanni,
tristezza nel cuore ogni momento?
Fino a quando su di me trionferà il nemico?


[4]Guarda, rispondimi, Signore mio Dio,
conserva la luce ai miei occhi,
perché non mi sorprenda il sonno della morte,


[5]perché il mio nemico non dica: «L'ho vinto!»
e non esultino i miei avversari quando vacillo.


[6]Nella tua misericordia ho confidato.
Gioisca il mio cuore nella tua salvezza
e canti al Signore, che mi ha beneficato.





mercoledì 19 gennaio 2011

SE STARAI CON ME TI PARLERO’ DI ME - Gesù racconta dalla croce - II parte

Il Getsemani

Era già notte fonda quando mi riebbi e vol­li uscire fuori.

Sentivo in quel momento tutto l'amore per tutti gli uomini dei quali il Padre mio mi ave­va reso fratello, ma anche tutto il peso dei lo­ro peccati venirmi addosso. Sostai un attimo sull'uscio, guardai l'im­mensità oscura e mi incamminai andando in­contro a quel buio nel quale l'anima mia si rispecchiava perfettamente. Mi incamminai co­me al solito verso l'Orto degli Ulivi, i miei apo­stoli mi seguirono a gruppetti. C'era un vento gelido ed un silenzio mortale. Si sentiva solo il rumore dei nostri passi sull'acciottolato. Nel cielo brillavano le stelle e la luna piena rende­va gli alberi degli ulivi argentati. Era uno spet­tacolo di straordinaria bellezza. Gli apostoli, lontani dal pensare che questa era l'ultima notte che avrebbero passato con me, si sdraiarono per terra e coprendosi con i loro mantelli si addormentarono.

 Li guardai e mi accorsi di soffrire anche per loro, mi erano stati amici, avevano rinunciato a tutto per seguirmi; mi ap­parivano come bambini che certi della custo­dia della madre si addormentano con abbandono. Li amai come non mai in quel mo­mento, avrei voluto accarezzarli e stringerli al mio petto ad uno ad uno, proprio come una madre fa con i suoi bambini.

Parlai loro con il cuore dicendo: "Amici miei, per causa mia vi perseguiteranno e vi metteranno a morte, devo mandarvi come pe­core in mezzo ai lupi; mi addolora, ma voi siete stati scelti quale eco per diffondere il gorgheg­giare della fonte che è lo Spirito di Verità e arriverete così poveri, così indifesi, fino ai con­fini della terra".
Ad un tratto mi accorsi che Pietro, Gia­como, Giovanni, non dormivano. Mi accostai a loro per rivelare il mio stato d'animo.
"L'anima mia è triste fino alla morte", dissi, "tenetemi un pò di compagnia".

La mia voce tremava, la paura di ciò che doveva accadermi mi faceva sudare. Sentii poi un gran bisogno di parlare con il Padre per es­sere rassicuarato da Lui, ma nel contempo sen­tivo l'esigenza di una presenza fisica e così, dilaniato fino allo spasimo, andavo e tornavo. Ad un tratto mi mancarono le forze e caddi in ginocchio e alzati gli occhi al cielo rividi la luna, le stelle sempre lì fedeli fin dalla fuga in Egitto quando illuminarono il sentiero a Ma­ria mia madre e a Giuseppe, compagne a me per tanti notti ed ora testimoni di un amore di­stillato goccia a goccia che trasudava dalla mia fronte e di colore scarlatto. "Padre, Padre!", ripetevo, "allontana da me questo calice!'

Ad un tratto rientrai in me, rividi il Pa­dre e alla di lui presenza mi sentii ricolmo di tutto il sudiciume che gli uomini passati pre­senti e futuri avevano e avrebbero racimolato coi loro peccati. La sfavillante presenza del Pa­dre rese la mia anima consapevole, non solo dell'oltraggio fatto dall'uomo a Colui che è l'a­more per essenza, ma anche di che cos'è l'uo­mo senza il suo Dio d'amore. Mi guardai così come apparivo al Padre e mi vidi un obbro­brio. Lui per consolarmi mandò uno dei suoi angeli che mi diede il sapore del mio cielo. "Amo tutto ciò che tu hai fatto, Padre mio e mio Dio", dissi, 'ma più ancora amo le tue creature che hai fatte ad immagine di me. Vo­glio restituirle al tuo amore. Voglio far riemer­gere in loro quel soffio di vita che sei tu, togliendo ogni ludibrio alla primordiale bel­lezza. E se per far ciò devo bere il calice fino alla feccia, sono pronto Padre mio' .

La cattura ed il processo

Mi rialzai cercando di riunire tutte le mie forze e mi portai dove erano i miei apostoli.
Li feci alzare e andai incontro al bacio di Giu­da. Così i soldati arrivati con gran chiasso mi presero e mi condussero via incatenato come un assassino.

Dovevo attendere lo spuntare del sole, del sole di questo giorno, perchè il Sinedrio si riu­nisse e quindi passai le rimanenti ore di que­sta ultima notte terrena in carcere, in compagnia dei custodi che bendatomi mi per­cuotevano e si prendevano gioco di me.

In quei momenti il mio pensiero improv­visamente andò a Giuda e lo vidi penzolare da un albero, con una corda al collo che smorzò l'ultimo grido dettato dalla disperazione e dal rimorso. Il figlio dell'orgoglio non volle am­mettere di avere sbagliato, di aver bisogno di perdono.

Lui, facendo sempre affidamento sulla sua intelligenza, si mise su un piano di autosuffi­cienza.- Doveva chiedere a me il perdono e non seppe farlo. Per orgoglio non seppe neanche perdonarsi. Se avesse atteso avrebbe visto che per dare questo perdono agli uomini, io morivo.

Finalmente spuntò l'alba di questo venerdì sette aprile e mi ritrovai nella sala del palazzo dove il Sinedrio, presieduto da Caifa, si era appena riunito.

Mi interrogarono: "Sei tu il Cristo?" "Io lo sono" , risposi con voce limpida e pacata.

Così mi giudicarono colpevole di bestem­mia e sentenziarono la condanna a morte. Mon era una condanna ufficiale, questa poteva in­fliggerla solo Pilato. Così fui mandato da lui guardato a vista dai soldati.

Faceva freddo e nell'atrio i servi dei som­mi sacerdoti avevano acceso un fuoco per scal­darsi. Ad un tratto sentii la voce di Pietro dire: "Non lo conosco".

Mi girai e lo vidi con gli occhi sgranati, si guardava attorno. Lo fissai intensamente negli occhi e in quello sguardo Pietro ritrovò la predizione che gli avevo fatto giorni prima: "Prima che il gallo canti mi rinnegherai tre volte".

Al contrario di Giuda, avrebbe voluto in quello stesso istante buttarmi le braccia al collo e dirmi: "Perdonami, Maestro", ma non po­tè farlo per paura che lo arrestassero, quindi leggendo nel mio sguardo il perdono uscì fuori e pianse amaramente.

Al Pretorio

Verso le sei del mattino fui condotto dal procuratore Ponzio Pilato che però, saputo che ero Galileo, mi mandò a sua volta da Erode Antipa, figlio di Erode il Grande.

Lì non risposi ad alcuna domanda. Non ne valeva la pena. Erode era un uomo molto frivolo ed era interessato a me solo per curiosità. Il mio silenzio lo fece montare su tutte le furie e dopo avermi violentemente insulta­to mi rivestì, schernendomi, di un manto di porpora e mi rimandò da Pilato. Questi era un uomo di potere, datogli in prestito da Tiberio il quale lo avrebbe destituito da lì a poco, ed aveva un carattere pusillamine. Pur riconoscen­domi innocente, non ebbe il coraggio di pro­clamarlo per paura della folla, ma non ebbe neanche il coraggio di proclamarmi colpe­vole.

"Sei tu re dei Giudei?", mi chiese.

"Il mio regno non è di questo mondo", risposi, "ma è vero, sono re, ma nel senso ul­traterreno, così come è scritto nei libri sacri".

La mia voce era molto pacata e da questo Pilato si rese conto che non aveva a che fare con un agitatore politico.

Continuai: "Si, sono re, per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità"

La parola "verità" fece presa nella men­te di Pilato. Pensò fossi uno dei soliti filosofi che si illudevano di trasformare il mondo con il pensiero anzicchè con la violenza. Così re­plicò: "Ma cos'è la Verità?", ma non aveva nessuna voglia di saperlo, perchè subito uscì fuori verso i Giudei offrendo loro la possibi­lità di rendermi libero secondo l'usanza di ri­lasciare per la Pasqua un prigioniero. E così mi barattarono con Barabba, un ladro, finito in carcere per omicidio.

Pilato, lavatosi le mani dopo avermi fatto flagellare, mi ripresentò alla folla urlante. I suoi occhi mi seguirono mentre camminavo giù nel cortile del Pretorio.

Così fui ridotto ad un'intera piaga. Secondo la legge di Mosè avrebbero do­vuto darmi quaranta colpi, anzi solitamente per rimanere dentro la legge ne davano uno in me­no, con una frusta formata con corde di cuoio che avevano alle estremità sfere di metallo e punte ad uncino, chiamata "flagrum". Ma a me ne diedero molti di più e non contenti di ciò mi posero sul capo un serto di spine rica­vato da sterpi di pimpinella che i soldati ave­vano messi da parte per accendere il fuoco durante le veglie. Colpendo con un bastone procurarono di farmela aderire attorno alla te­sta, soprattutto nella parte frontale. Così, quale cencio umano, Pilato ordinò che fossi condotto innanzi al popolo.

Per un attimo a tale vista la folla rimase smarrita e come uno scemare di tempesta ci fù un grande silenzio. Cercai con lo sguardo un volto amico, qualcuno che pur non poten­domi salvare dalla morte mi dicesse: "Gesù, figlio di Maria e del Dio di Abramo, ti amo e credo in te", e invece udii solo la voce di Pilato: "Ecco, questo è l'uomo, in lui non ho trovato nessuna colpa".

Ero sfinito, per farmi coraggio ripensai a tutti gli uomini amati dal Padre, ritornare a Lui, a tutti questi fratelli legati a me dal patto della nuova ed eterna alleanza. Per questo in fondo sono venuto: perchè il mio corpo si facesse via attraverso la quale poter tornare a casa.

Ad un tratto mi sentii osservato. Una don­na avvolta in uno scialle scuro lasciava intrav­vedere due grandi occhi che il pianto aveva reso simili a due laghi dalle acque profonde e cristalline.

Nessuno la riconobbe, ma io sì. Era Ma­ria, quella soprannominata "La peccatrice". "Signore, so che muori per i miei pecca­ti", mi diceva il suo cuore, "ma prima di te nessuno mi aveva amata per amore. D'ora in poi non potrò più vivere se non per amore, l'A­more che sei tu" .

La guardai e risposi col mio cuore al suo messaggio: "Guardami donna, muoio per da­re a tutti gli uomini ciò che ho dato a te: il per­dono e la vita eterna; consolati, il tuo fiume d'amore d'ora in poi troverà il suo letto per sfociare infine nel grande mare della mia Mi­sericordia".

Le urla dei sommi Sacerdoti mi scosse­ro: "Crocifiggilo, crocifiggilo", e da lì a po­co tutta la folla gridò così.

I soldati si avvicinarono e Pilato mi con­segnò a loro. Mi legarono il patibolo sulle spal­le, mi appesero al collo il cartello che indicava il motivo della condanna e mi spinsero insie­me ad altri due condannati per le vie della cit­tà in direzione del Calvario.

La via della Croce

Due soldati camminavano davanti a me e due dietro. Tutt' attorno c'era il popolo che pre­so dalla curiosità voleva godersi lo spettacolo fino in fondo.

Dopo aver percorso un breve tragitto mi accasciai a terra sotto il peso dell'asse che portavo sopra le spalle. I soldati che stavano die­tro di me m'aiutarono a rialzarmi con veemen­za e mi rimisero in piedi non curanti dei dolori lancinanti che mi procurava il legno sulle nu­de piaghe. Il sangue mi grondava da tutte le parti del corpo.

Pensai a mia madre e provai una fitta al cuore quando mi accorsi che mi veniva innanzi. Mi seguiva silenziosa, e il suo volto, per quanto addolorato, sprigionava una luce d'amore dalla quale mi sentii abbracciare.

"Madre, sii benedetta fra tutte le donne, perché hai aderito sempre alla volontà del Pa­dre mio" .

Mi trascinavo a stento e i soldati, veden­do che non riuscivo più a stare in piedi, fer­marono un uomo, un certo Simone di Cirene. Faceva il contadino, tornava stanco dal lavo­ro e per qualche denaro accettò di aiutarmi a portare l'asse.

Una donna si fece innanzi e con grande pietà mi asciugò il volto, mi sentii refrigerato e, per ricompensare la sua carità, le lasciai im­presso il mio volto nel panno. Altre donne mi consolavano durante il cammino con pianti e gemiti e, malgrado fossi allo stremo delle for­ze, le avvertii delle future sofferenze che si sa­rebbero abbattute su di loro e sui loro figli.

Il Calvario dista dal Pretorio meno di un chilometro. Così, giunti sul monte con la ve­locità di chi vuole sbarazzarsi della prova del delitto, buttato l'asse per terra, m'hanno spo­gliato completamente e disteso supino.

Un carnefice m'ha inchiodato i polsi al pa­tibolo e legata la fune al petto.
Altri due m'hanno innalzato sullo stipite già pronto e infisso al terreno.
Fermati i due assi della croce hanno al­lentato la fune e il mio corpo, scivolando ver­so il basso, s'è assestato con un orribile strattone. Poi hanno inchiodato anche i miei piedi.

Le immagini dei ricordi si esauriscono. C'è solo da attendere che tutto si compia. Ab­bassando lo sguardo rivedo mia madre soste­nuta dal braccio di Maria Maddalena e Maria di Cleofa. C'è anche Giovanni, lui solo fra tutti gli apostoli. Li affido l'uno all'altra, perché l'uno dell’altra avranno bisogno.

Ad un tratto sento una voce che mi dice: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso ed an­che noi". È uno dei due malfattori che sono crocifissi con me.

L'altro però lo rimprovera, dicendogli: "Noi moriamo per le nostre iniquità ed è giu­sto, ma lui che male ha fatto?" e poi rivolto a me dice: "Gesù, quando sarai arrivato nel tuo regno, ricordati di me".

Cosa sa lui di me e del mio regno? Ne avrà sentito parlare fra la folla solo durante il tra­gitto dal Pretorio al monte dove siamo croci­fissi, ma la predisposizione alla verità lo ha illuminato dentro, così mi percepisce per quello che sono, Re del Regno dei Cieli, e compren­de pure in così poco tempo che appartenere al mio regno è solo una questione di amore. Mi volto verso di lui e gli dico: "Oggi ti porterò con me in Paradiso".

Nello stesso istante il sole si eclissa, il cie­lo diventa buio, l'aria si fa molto calda, irre­spirabile, è l'afa che precede i temporali. Si fa un grande silenzio. In questo momento ho la percezione di essere uno di voi, ho appeso sì il peccato alla croce, ma ancora non basta. Sono gli ultimi momenti della mia vita. In que­st'attimo mi vedo tutto uomo ed il Padre mio non più dentro di me, ma di fronte a me, tutto Dio nella meraviglia della sua perfezione; ho un grido: "Dio mio, Dio mio perchè mi hai abbandonato?" .

Lo chiamo "Dio mio" perchè proprio ho bisogno di gridarla questa verità. Io uomo fatto peccato e lui il mio Dio. Così imploro il per­dono per i miei crocifissori e per tutti gli uomini, mi porgo a lui ed in nome di tutti gli uo­mini lo richiamo: "Padre", gli dico, "ades­so che tutto è compiuto, depongo nelle tue mani il mio spirito, torniamo a casa perché ormai i miei fratelli conoscono la via e potranno, se lo vorranno, abitare nelle stanze che tu, o Pa­dre, hai loro preparato".

Il Padre mi apre il suo seno e mi dice: "Vieni servo buono e fedele, vieni fratello dei fratelli, vieni amore mio incarnato".

Questa è l'agonia. Torno a guardare la fol­la, questa volta oppressa, impaurita per l'at­mosfera che si è creata attorno. Al di là di ogni ragione la natura creata per amare si ribella nel vedere l'amore crocifisso, ma al di là di ogni ragione, proprio perché crocifisso, l'a­more può aprirsi all'infinito poiché non lo fa­rà più con le braccia, ma con il cuore il quale e il solo che amando si dilata all'infinito.

Sono le ore quindici, emetto l'ultimo re­spiro. Muoio. Ma risorgerò, non vi lascio orfani, vi manderò lo Spirito Consolatore che vi insegnerà ad amare come Io vi ho amati.

domenica 16 gennaio 2011

SE STARAI CON ME TI PARLERO’ DI ME - Gesù racconta dalla croce

E il venerdì sette aprile, ore dodici, del­l'anno trenta e mi ritrovo appeso come un cen­cio su una croce, trattato come un brigante, anzi condannato a morte al posto di un brigante.


M'è davanti la mia tenerissima madre, rit­ta, ai piedi di questo palo al quale m'hanno in­chiodato. Sembra un soldato valoroso che, al termine di una grande battaglia vinta, mostra fiero le ferite sanguinanti del corpo al coman­dante per dirgli: "Sono ridotto così, ma non preoccuparti, abbiamo vinto".

"Sì madre, puo dirlo forte, abbiamo vin­to. Io torno al Padre e nel Padre troverò la sua compiacenza per te e continuerò ad amarti ed attenderti fintanto che gli Angeli santi ti ricon­durranno a me nella santa Dimora".

Nel suo cuore rivedo la piccola casa di Na­zareth. Il mio caro Giuseppe che non dimen­ticò mai, quando mi teneva fra le braccia, che sotto quella tenera carne di bimbo palpitava l'essenza del Dio dei suoi Padri. L'espressio­ne si riferisce al verbo incarnato. Adorò in me il Dio creato e celato, fu il primo adoratore dell'Eucarestia. Guardò e custodì mia madre come un tempio santo, lasciandosi inebriare dal suo profumo verginale e consacrante.

I primi tempi

Mi rivedo adulto a trent'anni, quando per l'ultima volta lasciai quella casa che, come il seno di mia madre, mi aveva custodito, per an­dare incontro agli uomini.

In un solo attimo mi si ripresentano tutte le tappe degli ultimi tre anni della mia vita. L'incontro con Giovanni il Battista... il suo cuore sincero, la sua umiltà profonda mi fe­cero un gran bene dopo il distacco dalla casa di Nazareth.

I quaranta giorni nel deserto della valle del Giordano in una lunga estasi all'ascolto inti­mo e divino del progetto del Padre per la rap­pacificazione del suo amore con il cuore degli uomini. E poi l'incontro con i primi due apo­stoli: Giovanni ed Andrea, che con semplici­tà credettero che ero il Messia. E la faccia corrucciata di Pietro che non seppe resistere suo malgrado al mio sguardo e mi seguì. E tutti gli altri.

Rividi il pozzo di Giacobbe sul monte Ga­rizim, dove incontrai un'umile peccatrice sa­maritana, che pur non comprendendo il mio discorso lo accolse e cambiò vita, solo perchè le diedi fiducia, chiamandola col titolo onorifico di donna, pieno di stima ed affetto ri­verente.

Mi tornano alla mente tutti i miracoli che ho fatto e tutti i miracolati ai quali ho ridato vita e salute pur sapendo che oggi li avrei ri­visti nel vigore delle loro forze ai piedi di que­sto monte a gridare "Crocifiggilo".

E Maria, la prostituta che entra a casa di Simone confondendosi con i servi per cospar­gere i miei piedi con prezioso profumo misto alle sue calde lacrime e la mia gioia nell'am­ministrarle il perdono: "Donna ti sono perdo­nati i tuoi peccati, va' in pace''.

E gli Scribi e i Farisei, sempre pronti lì a volermi far fuori per non scomodarsi a rive­dere il proprio interiore. Li rivedo adesso in mezzo a questa enorme folla che compiaciuta si gode uno spettacolo gratuito in questo gior­no, grazie proprio alla pervicacia di quei go­vernatori e conservatori della legge di Mosè, legge interpretata e non amata.

Rivedo Pietro, la sua fede, il suo "ascol­tare" i miei discorsi senza tanti ragionamen­ti. Mi aveva seguito perchè gli ero simpatico e mi voleva bene con l'affetto di un padre. Per me aveva lasciato moglie e figlia, con grande dolore, ma senza mai pentirsi. Mi amava più di ogni cosa al mondo, più di se stesso. Fu lui che con grande impeto mi gridò: "Sei tu il Messia, il figlio del Dio vivente". Verità ri­velatagli, per il suo cuore libero e sincero, dal Padre mio. E fu in quel momento, che con pro­fonda riconoscenza sentii che potevo fidarmi di lui, gli diedi il potere di sciogliere e di le­gare qualsiasi cosa in terra confermandogli che così sarebbe stato anche nei cieli, insomma gli diedi le chiavi del Regno.

Esattamente otto giorno dopo aver annun­ciato di essere il Messia, invitai Pietro, Gia­como e Giovanni sul monte Tabor. Arrivammo lì molto stanchi verso sera. Il sole radente il­luminava l'orizzonte. Sentii un gran bisogno di allontanarmi da loro per unirmi intimamente al Padre mio, sotto la volta di un cielo intes­suto di stelle e volli dare loro un segno della beatitudine Trinitaria. Con un gran bagliore, meglio che se fosse stato mezzogiorno, il mio corpo apparve loro condensato di una luce vi­vissima, riflessa dalla presenza del Padre mio. Con me erano Mosè ed Elia, rappresentanti della legge e della profezia. E Pietro, sempre lui così irruento e spontaneo, mi fece la pro­posta di voler fare tre tende!

E poi la festa dei Tabernacoli, quella che ricordava la dimora degli antichi Ebrei sotto le tende nel deserto. Ero lì anch'io ed era l'an­no ventinove. Seduto insieme con i miei apo­stoli assistevo alla grandiosa fiaccolata che concludeva gli otto giorni di celeIrazioni. Am­miravo le danze che facevano gareggiando nel saltellare il più a lungo possibile con in mano la fiaccola accesa. Ero affascinato da quella allegria popolare e guardando le grandi lampade appese agli altissimi candelabri pensavo, e confidai il mio pensiero agli Apostoli: "Io sono la vera luce del mondo. Chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà sempre la lu­ce della vita eterna".

Ad un tratto si sentì un gran chiasso, al­cuni Farisei trascinavano una donna che ave­vano sorpresa mentre giaceva con un uomo che non era suo marito. Volevano lapidarla. Ma ciò che più mi fece male fu il ragionamento dei Farisei. Non erano lì per osservare con zelo la legge, come poteva apparire, ma l'avevano portata apposta per mettere me in difficoltà. Loro facevano presa sul fatto che io avevo pre­dicato l'amore ed il perdono cercando di spie­gare alla gente che il Padre mio mi aveva mandato solo per dare speranza ed amore... "Amatevi a vicenda, perdonate settanta volte sette, perché il Padre ha questi sentimenti nei vostri confronti e voi dovete averli nei con­fronti degli altri".

Loro davano per scontato che io avrei perdonato e amato quella donna e quindi avrebbero potuto condannarmi a morte per non aver osservato la legge di Mosè. D'al­tronde se anch'io fossi stato dalla loro parte mi avrebbero presentato al popolo come un bu­giardo che dopo aver predicato l'amore ed il perdono, presente l'occasione di praticarlo, mi tiravo indietro per paura, comportandomi di­versamente da come avevo predicato. Tutto questo lessi nei loro cuori e nelle loro menti, mentre seduto per terra col dito tracciavo dei segni nella sabbia. Insistevano nel chiedermi un parere e così al di là di ogni legge delibe­rai che chi non avesse peccato poteva comin­ciare a tirare la prima pietra.

Con questo mio dire desiderai rendere chiaro che nessun uo­mo può appellarsi a nessuna legge per giudi­care un altro uomo, poichè ci sono peccati che possono essere scoperti, come questo, ma ci sono molti altri peccati avvolti dalle tenebre della furbizia che l'uomo riesce perfettamente a nascondere. Se ne andarono lasciandomi quella donna raggomitolata per terra, piena di paura e stupore. In quel momento mi alzai e fui pienamente felice di poterle dare una ma­no rassicurante e con tutto l'affetto del cuore le dissi: "Donna va' in pace. E d'ora in poi non peccare più". Ella mi guardò con gli oc­chi pieni di lacrime e di gratitudine e nel suo sguardo lessi: "Grazie, maestro buono, il tuo amore mi ha guarita".


La Parola: Verità e Misericordia

Il mio coraggio nel testimoniare la verità mi attirò molte simpatie per cui molti chiese­ro di diventare miei discepoli. Ne scelsi set­tantadue e li mandai come i miei dodici a predicare.

Solo pochi mesi e la mia vita terrena si sarebbe conclusa. Così in quel tempo che mi rimaneva non parlai altro che dell'amore. Vo­levo arrivare a far vibrare il cuore degli uo­mini e di tutti gli uomini, anche di quelli che pensavano di essere vittime indiscutibili dei propri vizi e così raccontai la parabola del Fi­gliol Prodigo. Parlavo spesso in parabole, parabole dell'amore. Era una pedagogia adatta a quegli uomini semplici perché imparassero a mente i miei insegnamenti. Un padre, due figli con caratteri diversi. L'uno attratto dai piaceri della vita, l'altro ligio al dovere e per questo sicuro di dovere ricevere la lode dal pa­dre e deluso perché i fatti si svolsero diver­samente.

"Prendo tutto ciò che mi spetta", disse il primo al padre, "voglio godermi la vita, com­prarmi tutti i piaceri che il mondo mi offre" .

Il padre rispetta la libertà del figlio, gli concede il suo e lascia col cuore triste che var­chi la porta di casa, chissà forse per non rive­derlo più. L'amore lascia sempre libero l'amato di amare oppure no, questa è la radi­ce dell'amore stesso. Ma quel figlio, fatta l'e­sperienza della propria fragilità, si ritroverà solo ed affamato e dopo aver sperperato tut­to, sente e comprende che l'amore di suo padre, rimasto immutato nell'infinita Mi­sericordia, lo attende sempre. E così và e tro­va il padre suo ad attenderlo, senza rinfac­ciargli nulla, felice solo di poterlo riab­bracciare.

Così scorrono nella mente mia le imma­gini degli ultimi giorni della mia vita terrena, mentre il sangue gronda dalle mie ferite ed i dolori mi penetrano le ossa da non poterne più. Mi accorgo che ricordare mi fa bene, perché lo strazio delle mie carni trova in questa me­moria una risposta.

Ho amato tutti gli uomini miei fratelli e voglio dimostrare loro che continuo ad amar­li e li amerò sempre e darò tutto me stesso poi­che di più non posso.

A Gerusalemme

Ed ecco riprendo a ricordare il mio ingres­so trionfale nella Città Santa.

Montai su un asinello a circa un chilome­tro dal tempio, operando guarigioni tra le gri­da gioiose dei fanciulli. La folla non riuscì più a contenere l'entusiasmo; pochi giorni prima avevo risuscitato Lazzaro e questo era stato per loro il miracolo più strepitoso, quindi getta­rono i loro mantelli sotto i piedi della caval­catura e tagliati rami d'ulivo, li agitavano gridando: "Evviva, evviva, osanna al Figlio di Davide"!

Passato il torrente Cedron, alzai lo sguar­do verso il tempio candido di marmi e sfavil­lante di ori ai primi raggi del sole. I miei occhi si riempirono di lacrime; pensai che di quel tempio così maestoso non sarebbe rimasta pie­tra su pietra che non fosse distrutta. Gerusa­lemme sarebbe stata rasa al suolo e dei suoi abitanti chi ucciso e chi condotto in schiavitù. Entrai, accompagnato dal sempre crescente en­tusiasmo della folla, nell'atrio del tempio e mi vennero incontro alcuni Greci e con l'aiuto di Filippo che conosceva il greco seppi che vo­levano conversare con me. Parlai in perifrasi anche con loro. Raccontai che se il granello di frumento caduto in terra non muore, non porta frutto; come a dire: "Proprio quando mi uccideranno comincerò a vivere nei vostri cuo­ri". E proprio il Padre mio mi rese testimo­nianza, come durante il battesimo e sul Monte Tabor: si udì un rumore come di tuono e e una voce che scandiva queste parole: "Ho glori­ficato il tuo nome".

Ma nè i miei interlocutori, nè il popolo compresero. Così mentre loro continuavano ad inneggiare io ridiscesi verso il torrente Cedron e, tra i sentieri dell'Orto degli Ulivi, mi di­ressi a Betania ove andai a trovare il mio ami­co Lazzaro e passai la notte.

Verso la Pasqua

Il dì successivo mi alzai di buon mattino e mi recai regolarmente nel tempio a predicare. Era il lunedì tre aprile dell'anno trenta. I Farisei si erano nel frattempo organizzati escogitando ancora una volta di rendermi ri­dicolo agli occhi del popolo.

Mi sottoposero dunque un problema di tas­se: "E giusto o no pagarle?"

Il tranello era ben progettato, c'era Cesa­re di mezzo e quindi se avessi detto "si" avrei avuto il popolo contro che di fronte alle tasse versate ad un governatore tiranno e straniero pensava fosse meglio non pagare; se avessi det­to "no" a quel punto sarebbero intervenute le guardie e mi avrebbero eliminato per oltrag­gio al grande Cesare ... Ipocriti! Ciechi!

Mi feci portare una moneta del tributo con 1'effige di Cesare e spiegai loro che come c'è un dovere da compiere in una società civile al quale non si può e non ci si deve sottrarre, così c'è un dovere morale impresso nella coscien­za di ogni uomo al quale si deve soddisfare. Ma loro non la finirono più con le domande.

L'indomani, martedì quattro aprile, mi sottoposero il problema della risurrezione nel caso di una donna che nell'aldilà si ritrova con sette mariti. A quel punto non ne potei più: "Ipocriti, razza di vipere, i risorti saranno in­corrutibili ed immortali, non avranno l'uso fi­siologico della sessualità, la loro vita materiale scomparirà con le loro ceneri. Saranno uno con me nel Padre, purificati dall'amore sostanzia­le dello Spirito Santo".

Se ne andarono scuotendo il capo con l'a­ria di chi sa di ritornare alla carica. Fui preso da una violenta reazione contro la loro ipocri­sia e gli gridai contro: "Guai a voi, perchè chiudete il Regno dei Cieli in faccia agli uo­mini. Non solo voi non vi entrate, ma fate di tutto perchè gli altri non vi entrino. Ipocriti ciechi che pretendete di fare agli altri da guida! Serpenti, razza di vipere, sepolcri imbianca­ti! Non illudetevi di poter sfuggire al fuoco del­la Geenna". Dopo questo sfogo mi sentii sfinito e mi rifugiai all'interno del tempio.

Il mio animo si acquietò quando vidi una vecchietta mettere nella cassetta dell'elemosine pochi spiccioli. Mi rivolsi agli Apostoli facen­do loro notare quanto sia gradita l'offerta presa dal proprio necessario, molto di più di quella scrosciante che i ricconi fanno cadere dall'alto.


Il tradimento

Ma proprio a questo ricordo il mio pen­siero va a Giuda.

Poveretto, la mia sfuriata gli aveva dimo­strato che non possedevo alcun senso politico e si sentì deluso, lui che da me si aspettava la testimonianza di un maestro sapiente di que­sto mondo. Crollarono le sue ultime illusioni, così prese la decisione di aiutare i Farisei a mettermi a tacere. Ormai non gli interessavo più. Per lui ero solo un pazzo, un esaltato, e nient'altro. Così quella stessa sera mentre mi avviavo con gli altri apostoli verso l'Orto de­gli Ulivi, Giuda rimase in città per prendere i primi contatti con i capi dei Sacerdoti, stabi­lendo l'incontro per l'indomani sera. Quanta tristezza nel mio cuore! Giunti che fummo nel­l'Orto mi sedetti per terra e poggiando la schie­na in un albero di ulivo invitai gli apostoli ad ascoltarmi. "Mancano due giorni alla mia cro­cifissione", spiegai, "e sarà proprio a Pasqua".

Ma loro rimuginavano tutto ciò che era ac­caduto in quegli ultimi giorni ed erano confu­si, quasi non mi ascoltavano. Dopo l'ingresso trionfale a Gerusalemme, pensavano che quel popolo mi amava, mi aveva accettato come Messia e lì, fors'anche per un rifiuto dettato dal grande affetto che avevano per me, ferma­vano il loro pensiero. Preferii non insistere e li lasciai con le loro convinzioni, non me la sentivo di continuare a spiegare cose che non avrebbero mai compreso, tanto li avrebbero vissuti da lì a poco questi giorni, insieme a me e non era il caso di scoraggiarli più di quanto non lo fossero già. Ci appisolammo.

L' indomani mercoledì cinque aprile si ten­ne un ulteriore consiglio in casa di Caifa e si ribadì che bisognava catturarmi con inganno per evitare una sommossa nel popolo.

Cercarono subito di rintracciare Giuda il quale fu ammesso a partècipare al loro conci­liabolo.

Giuda che nella sua vita era stato abitua­to a dare un prezzo a tutto, volle darlo anche a me. E subito, prima ancora di impegnarsi definitivamente a consegnarmi nelle loro ma­ni, chiese: "Quanto mi date?". Gli risposero: "Trenta sicli d'argento".

Questo infatti era il prezzo che la legge ebraica stabiliva quale riscatto in caso che uno schiavo fosse ucciso. Giuda accettò: pensava di investire l'intera somma per acquistare un podere. Questa mercede mi fece molto più ma­le del tradimento in sé. Se mi avesse conse­gnato senza alcuna ricompensa, avrebbe guadagnato probabilmente la stima degli stes­si Farisei i quali avrebbero pensato che, delu­so dall'opinione ideale che lui si era fatta su di me e non valendo che niente ai suoi occhi, poco contava per lui che fossi ucciso o rima­nessi vivo e in ciò, alla richiesta insistente di consegnarmi nelle loro mani, avrebbe potuto aderire come chi, avendo la proposta di disfarsi di ciò che non bisogna, se ne disfà volentieri.

 Ma la degradazione più grande Giuda l'ebbe quando vendette non me, ma il suo ideale de­luso per trenta sicli d'argento. Riflettei molto su questo e pensai che il cuore dell'uomo chiuso alla grazia del suo Dio, non saprà far altro che vendere, comprare, perire. Lo vidi torna­re a sedere in mezzo agli altri apostoli. Rima­se molto male quando sentì che avevo dato a Pietro e Giovanni il compito di organizzare la cena per la Pasqua, perché a lui urgeva sape­re dove saremmo andati.

Così mi rivolsi ai due apostoli e parlai in modo molto enigmatico per far comprendere a Giuda che ero al corrente di suoi piani, per invitarlo a riflettere, ma non volle, pensando forse che ormai era troppo tardi per tornare indietro, dimostrando così di non avere fidu­cia nel mio amore, nel mio perdono.

L'ultima cena

La cena pasquale si consumò al primo pia­no vicino la casa di Caifa. Era la sera del gio­vedì sei aprile e seguìto dai miei apostoli mi recai nel luogo stabilito. Giuda assunse una espressione molto preoccupata vedendoci in­camminare proprio verso la casa di Caifa, sem­brava infatti che io lo conducessi a compiere il suo misfatto quanto prima possible. Si ras­sicurò quando, appena seduto a tavola dissi sor­ridendo: "Ho desiderato tanto mangiare questa Pasqua con voi, sapete, questa è l'ultima volta".

Il clima, almeno apparentemente, era ab­bastanza sereno, favorito anche dalle carni fu­manti, dalle ricche posate, dai vini pregiati. Gli apostoli non raccolsero ancora una volta il senso delle mie parole, loro pensavano che fosse terminato il periodo in cui avevo voluto vivere nascosto e che subentrava un'era nuo­va, l'era in cui avrei rivelato con potenza di essere il Messia, e così avrebbero finalmente potuto dimostrare a tutti che loro erano stati quei fortunati che l'avevano incontrato per pri­mo. Per questo cominciarono a discutere sulle cariche che dovevano dividersi. Interruppi il loro dire e dissi: "Colui che serve è il mag­giore tra di voi", mi cinsi al fianco un' asciu­gamano e cominciai a lavar loro i piedi.

Non appena gli fui innanzi, Pietro si sco­stò con veemenza dicendomi che mai si sarebbe sottoposto a questo per la grande stima che ave­va di me. Ma quando mi sentì dire che non avrebbe avuto parte con me se non mi avesse lasciato fare questo servizio, l'impetuoso Pietro quasi mi gridò: "Allora non solo i piedi, ma anche le mani ed il capo" .

Tenero dolce Pietro, dal viso scavato dalle lunghe rughe annerite da quel sole bruciante che lo attendeva ogni giorno sul lago, e dal cuore di bimbo che non fece altro che sogna­re per tutta la vita una buona pesca quotidiana per un sicuro pezzo di pane.

Lo guardai e gli dissi: "Chi ha fatto il ba­gno non ha bisogno che di lavarsi i piedi perché e pulito. E voi tutti siete puliti, tranne uno"

Giuda abbassò lo sguardo, era sgomento. E fu sempre Pietro che con foga mi chiese: "Sono forse io, Maestro?"

Lo rassicurai con lo sguardo e osservai uno per uno tutti gli altri Apostoli, li vidi in­terdetti, spauriti, non sapevano capacitarsi per quello che avevo detto: "Uno di voi mi tradirà" .

Intanto Giuda fors'anche per rompere quell'atmosfera gelida che si era creata e che gli pesava sul capo come una candanna, mi si avvicinò e mi chiese con atteggiamento altez­zoso: "Maestro, sono forse io?"

Gli risposi a bassa voce, per non farmi sentire dagli altri: "Tu l'hai detto".
Dopo ciò indietreggò è tornò a sedersi al suo posto.

Sono circa le due del pomeriggio. Devo puntare i piedi sui chiodi e scostare le spalle dal patibolo per prender un pò di respiro; le ferite causate dal flagello hanno aperte le mie carni fino all'osso e il sangue ed il sudore le hanno richiuse malamente, per questo ogni mo­vimento è uno strazio.

Il sole picchia forte e arroventa il legno, ma più ancora i chiodi. Il rumore della folla e ciò che sento gridare mi dilaniano più in pro­fondità.

Loro gridano: "A morte, a morte", ed il mio cuore a loro: "Muore il mio corpo, ma non il mio amore; vi amo e vi amerò per sempre! "

Con lo sguardo, per quello che ormai pos­sono permettermi i grumi di sangue che si so­no formati attorno agli occhi a causa della corona di spine, intravedo Giovanni, l'apostolo che si era donato a me agli albori dei suoi an­ni, e me lo rivedo così, quando posando il ca­po sul mio petto, mi chiese: "Signore chi è colui che ti tradirà?". "È quello al quale da­rò un pezzetto di pane intinto", avevo risposto.

Ecco, la mia mente ora torna in quella stanza con i miei dodici. E mentre tutte le ferite del mio corpo pulsano con dolore imma­ne, il mio cuore si dilata all'infinito per esser­mi fatto Eucarestia.

Questo è un momento d'infinito amore. "Prendete, questo è il mio corpo", dissi loro, spezzando il pane. E poi aggiunsi, por­gendo il calice: "Questo è il mio sangue, che sta per essere versato. Ripetete questo gesto in memoria di me".

Ecco, avevo istituito il Sacramento che mi avrebbe reso eternamente presente in mezzo a loro. "Amici, consumatemi in questo cibo prezioso, insieme, da uomini uniti dalla fede e dall'amore e non temete perché io sono la vostra forza. Ma prima di accostarvi a tale mensa abbiate sempre il cuore mondo, altri­menti fareste come Giuda, al quale diedi un pezzetto di pane intinto nel mio piatto e glielo misi sulla bocca dicendogli: "Quello che de­vi fare fallo presto" .

Egli infatti non disdegnò di prenderlo, ma subito dopo andò via, scomparendo nel buio della notte.

Appena uscì, la cena riprese in un'atmo­sfera di serenità. Non seppero spiegarlo nean­che loro perchè, ma tutti si sentirono il cuore libero e leggero, desiderosi solo di stringersi a me.

Li guardai con grande affetto e mi venne così spontaneo chiamàrli per la prima volta “fi­glioli”, li sentivo parte integrante di me, anzi li sentivo dentro di me, per questo mi donai a loro nell'unica forma in cui potevo donarmi tutto, con il mio corpo ed il mio sangue, la mia anima, la mia divinità, tutto e per sempre.

Così ripresi a parlare: "Figlioli, vedete ... ancora per poco sarò con voi, ma prima di tornare al Padre desidero dirvi che dovete amarvi gli uni gli altri, come io vi ho amati. Vedete come è bello sentirsi in consonanza con tutti i fratelli? È solo questo che desidero testimoniate, perchè solo da questo crederanno che siete stati con me e che io vi ho rivelato l'amore; lo stesso amore per il quale siete sta­ti creati e per il quale tra poco io darò la mia vita. Vedete... nella casa del Padre mio vi so­no molti posti, io vado a prepararvi un posto adatto per ciascuno di voi, affinché possiate un giorno venire anche voi dove sono io".

Tommaso che era il più razionale degli apostoli mi interruppe dicendomi: "Signore, ma se noi non sappiamo dove vai, come pos­siamo conoscere la via!" Gli risposi: "Io so­no la Via, la Verità e la Vita. Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me conoscerete anche il Padre; an­zi vi dico che fin da ora lo conoscete e lo ave­te visto".

E Filippo, dimostrando di avere capito meno degli altri, mi chiese: "Signore, mostraci il Padre e ci basta"

"Oh, Filippo, Filippo come puoi dire: - Mostraci il Padre? -, Io sono nel Padre e il Padre è in me, è lui che sta compiendo in me l'opera di redenzione, credimi, il Padre ed io siamo una cosa sola".

Detto questo sentii una grande nostalgia del Padre. Le parole sgorgavano così tenera­mente dal profondo del mio cuore, che gli apo­stoli, percependo il mio sentimento, esitavano ad interrompermi. Così spontaneamente pre­gai rivolgendomi direttamente a Lui, al Padre mio, dicendogli: "Padre santo, quando io ero con loro li custodivo, adesso è venuto il mo­mento di tornare a te, perciò ti prego custodi­scili tu, perchè abbiano la stessa gloria in me, della mia in te. Ti prego anche per tutti quelli che in me crederanno, affinché tutti siano una sola cosa, come tu Padre sei in me ed io in te".