Visualizzazione post con etichetta Maria Valtorta. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Maria Valtorta. Mostra tutti i post

lunedì 27 giugno 2011

Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato.

L'arrivo dei discepoli e dei pastori a Nazareth.

Vedo Maria che, scalza e solerte, va e viene per la sua casetta alle prime luci del giorno. (…)Esce nell'orto. I colombi le si affollano sulle spalle. E con voli brevi, da una spalla all'altra, per avere il posto migliore, rissosi e gelosi per amore di Lei, l'accompagnano sino ad un ripostiglio dove sono provviste di cibarie. Ella ne trae grani per loro e dice:

«Qui, oggi qui. Non fate rumore. É tanto stanco!». E poi prende farina e va in una stanzetta presso il forno e si pone a fare il pane. Lo impasta e sorride. Oh! come sorride oggi, la Mamma. Pare la giovinetta Madre della Natività, tanto è ringiovanita dalla gioia. Dalla pasta del pane ne leva un mucchio e lo pone da parte, coprendolo, e poi ripiglia il lavoro, accaldandosi, coi capelli resi più chiari da una lieve incipriatura di farina. Entra piano Maria d'Alfeo. «Già al lavoro?». «Sì. Faccio il pane e, guarda, le focacce di miele che a Lui piacciono tanto». «Fa' quelle. La pasta del pane è tanta. Te la lavoro io».

Maria d'Alfeo, robusta e più popolana, lavora con lena al suo pane, mentre Maria intride miele e burro nei suoi dolci e ne fa tanti tondi che pone su una lastra. «Non so come fare ad avvisare Giuda... Giacomo non osa... e gli altri...». Maria d'Alfeo sospira. «Oggi verrà Simon Pietro. Viene sempre il secondo giorno dopo il sabato, col pesce. Manderemo lui da Giuda».

«Se vorrà andare...». «Oh! Simone non mi dice mai di no». «La pace su questo vostro giorno», dice Gesù apparendo. Le due donne sobbalzano alla voce di Lui. «Già alzato? Perché? Volevo Tu dormissi... «Ho dormito un sonno da cuna, Mamma. Tu non devi aver dormito...». Ti ho guardato dormire... Facevo sempre così quando eri piccino. Nel sonno sorridevi sempre... e quel tuo sorriso mi restava per tutto il giorno in cuore come una perla... Ma questa notte non sorridevi, Figlio. Sospiravi come chi è afflitto...». Maria se lo guarda con struggimento.

«Ero stanco, Mamma. E il mondo non è questa casa dove tutto è onestà e amore..... tu sai Chi sono e puoi capire cosa è per Me il contatto col mondo. É come chi cammina su una strada fetida e motosa. Anche se è attento, un poco di fango lo spruzza, e il fetore penetra anche se egli si sforza di non respirare... e se costui è uomo che ama ciò che è lindura e aria pura, puoi pensare se ciò gli fa noia...». «Sì, Figlio. Io capisco. Ma mi fa pena che Tu soffra...

«Ora sono con te e non soffro. C'è il ricordo... Ma serve a fare più bella la gioia d'esser con te». E Gesù si china a baciare la Mamma. Carezza anche l'altra Maria, che entra tutta rossa per avere acceso il forno. «Bisognerà avvisare Giuda», è la preoccupazione di Maria d'Alfeo. «Non occorre. Giuda sarà qui, oggi». «Come lo sai?». Gesù sorride e tace. «Figlio, tutte le settimane, in questo giorno, viene Simon Pietro. Mi vuole portare il pesce pescato nelle prime vigilie.

E giunge verso il finire dell'ora di prima. Sarà felice, oggi. E’ buono Simone. Nelle ore che resta, ci aiuta. Vero, Maria?». «Simon Pietro è un onesto e un buono», dice Gesù. «Ma anche l'altro Simone, che fra poco vedrai, è un grande cuore. Vado loro incontro. Staranno per venire». E Gesù esce, mentre le donne, infornato il pane, tornano in casa, dove Maria si rimette i sandali e torna con una veste di lino tutta candida. Passa qualche tempo e, nell'attesa, Maria d'Alfeo dice: «Non hai fatto in tempo a finire quel lavoro».

«Lo finirò presto. E il mio Gesù ne avrà refrigerio d'ombra senza averne gravato il capo». La porta viene spinta dal di fuori. «Mamma, ecco i miei amici. Entrate». Entrano in gruppo i discepoli e i pastori. Gesù tiene per le spalle i due pastori e li guida alla Madre: «Ecco due figli che cercano una madre. Sii la loro gioia, Donna». «Io vi saluto... ... Levi... tu? Non so, ma per l'età, Egli mi ha detto, sei certo Giuseppe. Quel nome è dolce e sacro qui dentro.

Vieni, venite. Con gioia vi dico: la mia casa vi accoglie e una Madre vi abbraccia, in ricordo di quanto voi, tu in tuo padre, avete avuto di amore per il mio Bambino». I pastori sembrano incantati, tanto sono estatici. «Sono Maria, sì. Tu hai visto la Madre felice. Sono sempre quella. Anche ora felice di vedere il Figlio mio fra cuori fedeli». «E questo è Simone, Mamma». «Tu hai meritato la grazia perché sei buono. Lo so. E la Grazia di Dio sia sempre con te».

Simone, più esperto degli usi del mondo, si inchina fino a terra, tenendo le braccia incrociate sul petto, e saluta: «Ti saluto, Madre vera della Grazia, e altro non chiedo all'Eterno, ora che conosco la Luce e te, più di luna soave». «E questo è Giuda di Keriot». «Ho una madre, ma il mio amore per lei scompare rispetto alla venerazione che sento per te». «No. Non per me. Per Lui. Io sono perché Egli è. Né nulla per me voglio. Ma solo per Lui chiedo.

So quanto hai onorato il Figlio mio nella tua patria. Ma ancora ti dico: sia il tuo cuore il luogo in cui Egli riceve da te il sommo onore. Allora io ti benedirò con cuore di Madre». «Il mio cuore è sotto il calcagno del Figlio tuo. Felice oppressione. La morte sola scioglierà la mia fedeltà». «E questo è il nostro Giovanni, Mamma». «Ero tranquilla da quando sapevo che tu eri presso Gesù. Ti conosco e riposo nello spirito quando ti so col Figlio mio. Sii benedetto, mia quiete». Lo bacia. La voce aspra di Pietro si fa udire da fuori: «Ecco il povero Simone che porta il suo saluto e...».

É entrato ed è rimasto di stucco. Ma poi getta per terra il paniere rotondo, che aveva penzoloni sulla schiena, e si getta giù anche lui dicendo: «Ah! Signore eterno! Però... No, questa non me la dovevi fare, Maestro! Esser qui... e non far sapere niente al povero Simone! Dio ti benedica, Maestro! Ah! come sono felice! Non ne potevo più di stare senza di Te!», e gli carezza la mano, senza dar retta a Gesù che gli dice: «Alzati, Simone.

Ma alzati, dunque». «Mi alzo, si. Ma però... Ehi, tu, ragazzo! (il ragazzo è Giovanni) tu almeno potevi correre a dirmelo! Ora fila, subito. A Cafarnao, a dirlo agli altri... e prima in casa di Giuda. Sta per arrivare tuo figlio, donna. Svelto. Fa' conto di essere una lepre che ha dietro i cani». Giovanni parte ridendo. Pietro si è infine alzato. Continua a tenere fra le sue corte, tozze mani dalle vene rilevate, la lunga mano di Gesù e lo bacia senza lasciarlo, nonostante voglia dare il suo pesce che è a terra, nel paniere.

«Eh! no. Non voglio che Tu te ne vada un'altra volta senza di me. Mai più, mai più così tanto senza vederti! Ti seguirò come l'ombra segue il corpo e la corda l'ancora. Dove sei stato, Maestro? Io mi dicevo: "Oh! dove sarà? Che farà? E quel bambino di Giovanni saprà curarlo? Starà attento che non si stanchi troppo? Che non resti senza cibo?". Eh! ti conosco!... Sei più magro! Si. Più magro. Non ti ha curato bene! Gli dirò che... Ma dove sei stato, Maestro? Non mi dici nulla!». «Aspetto che tu mi lasci parlare!». «

E’ vero. Ma... ah! vederti è come un vino nuovo. Va al capo solo con l'odore. Oh! il mio Gesù!». Pietro quasi piange per reazione di gioia. «Anche Io ho sentito desiderio di te, di voi tutti, anche se ero con cari amici. Ecco, Pietro. Questi sono due che mi hanno amato da quando ero di poche ore. Più ancora: hanno già sofferto per Me. Qui vi è un figlio senza padre né madre per causa mia. Ma ha tanti fratelli in voi tutti, non è vero?».

«Lo chiedi, Maestro? Ma se, per un caso, il Demonio ti amasse, lo amerei perché ti ama. Siete poveri anche voi, vedo. E allora siamo uguali. Venite che vi baci. Sono pescatore, ma ho il cuore più tenero di un piccioncino. E sincero. Non guardate se sono rude. Il duro è di fuori. Dentro sono tutto miele e burro. Coi buoni però... perché coi malvagi...». «E questo è il nuovo discepolo». «Mi pare di averlo già visto...». «Sì. É Giuda di Keriot, e il tuo Gesù per mezzo suo ebbe buone accoglienze in quella città. Vi prego di amarvi, anche se di diversa regione. Siete tutti fratelli nel Signore».

«E come tale lo tratterò, se sarà proprio tale. E... sì... (Pietro guarda fisso Giuda, uno sguardo aperto e ammonitore) e... si... e meglio che lo dica, così mi conosci subito, e bene. Lo dico: non ho molta stima dei giudei in genere e dei cittadini di Gerusalemme in particolare. Ma sono onesto. E sulla mia onestà ti assicuro che metto da parte tutte le idee che ho su voi e che voglio vedere in te solo il fratello discepolo. Ora a te a non farmi mutare pensiero e decisione». «Anche con me, Simone, hai tali preconcetti?», chiede lo Zelote sorridendo.

«Oh! non ti avevo visto! Con te? Oh! con te, no. Hai l'onestà dipinta sul volto. Ti trasuda la bontà dal cuore all'esterno, come olio odorifero da vaso poroso. E sei anziano. Ciò non è sempre un merito. Delle volte più si invecchia, più si diventa falsi e cattivi. Ma tu sei di quelli che fanno come i vini pregiati. Più diventano vecchi e più si fanno schietti e buoni». «Hai giudicato bene, Pietro», dice Gesù. «Ora venite. Mentre le donne lavorano per noi, sostiamo sotto la pergola fresca. Come è bello stare con gli amici! Andremo poi tutti insieme per la Galilea e oltre. Ossia, tutti no. Levi, ora che è fatto contento, tornerà da Elia a dirgli che Maria lo saluta. Vero, Mamma?».

«Che lo benedico, e così Isacco e gli altri. Il Figlio mio mi ha promesso di condurmi seco... ed io verrò da voi, primi amici del mio Bambino». «Maestro, vorrei che Levi portasse a Lazzaro lo scritto che sai». «Preparalo, Simone. Oggi è festa piena. Domani sera Levi partirà. In tempo per giungere prima del sabato. Venite, amici...». (…)

sabato 18 giugno 2011

L'Evangelo come mi è stato rivelato - Maria Valtorta: Commiato da Giona, che Simone Zelote pensa di affrancare. Arrivo di Gesù a Nazareth.

(…) Appena appena un baluginare di luce. Sulla porta di un misera capanna, e dico così perché chiamarla casa è troppo onore, sono Gesù coi suoi e con Giona e altri miseri contadini come lui. E’ l'ora del commiato. «Non ti vedrò più, mio Signore?», chiede Giona. «Tu ci hai portato la luce nel cuore. La tua bontà ha fatto di queste giornate una festa che durerà per tutta la vita. Ma Tu lo hai visto come siamo trattati. Il giumento ha più cure di noi. E la pianta è più umanamente trattata.

Essi sono denaro. Noi siamo solo macine che diamo denaro. E andiamo usati sinché uno muore per eccesso d'uso. Ma le tue parole sono state tante carezze d'ali. Il pane ci è parso più abbondante e buono, poiché Tu con noi lo gustavi, questo pane che egli non dà ai suoi cani. Torna a spezzarlo con noi, Signore. Solo perché sei Tu, oso dire questo. Per chiunque altro sarebbe offesa offrirti un ricovero ed un cibo che sdegna il mendico.

Ma Tu… «Ma Io trovo in essi un profumo e un sapore celesti, perché vi è in essi fede e amore. Verrò, Giona. Verrò. Resta al tuo posto, tu legato come animale alle stanghe. Il tuo posto sia la tua scala di Giacobbe. E invero dal Cielo a te vanno e vengono gli angeli, attenti a raccogliere tutti i tuoi meriti e portarli a Dio. Ma Io verrò a te. A sollevare il tuo spirito. Rimanetemi tutti fe­deli. Oh! Io vorrei darvi pace anche umana. Ma non posso. Vi devo dire: soffrite ancora. E ciò è triste per Uno che ama...».

«Signore, se Tu ci ami, non è più soffrire. Prima non avevamo nessuno che ci amasse... Oh! se potessi, io almeno, vedere tua Madre!». «Non ti angustiare. Io te la condurrò. Quando più dolce è la stagione, verrò con Lei. Non incorrere in castighi disumani per fretta di vederla. Sappila attendere come si attende il sorgere di una stella, della prima stella. Ella ti apparirà d'improvviso, proprio come fa la stella vespertina che ora non c'era e subito dopo palpita nel cielo. E pensa che anche da ora Ella effonde i suoi doni d'amore su te. Addio, voi tutti. La mia pace vi sia tutela contro le durezze di chi vi angustia. Addio, Giona.

Non piangere. Hai atteso tanti anni, con fede paziente. Io ti prometto ora un'attesa ben breve. Non piangere. Non ti lascerò solo. La tua bontà ha asciugato il mio pianto puerile. Non basta la mia ad asciugare il tuo?». «Sì... ma Tu vai... e io resto...». «Amico, Giona, non farmi partire accasciato dal peso di non poterti sollevare...». «Non piango, Signore... Ma come farò a vivere senza più vederti, ora che so che sei vivo?». Gesù carezza ancora il vecchio disfatto e poi si stacca. Ma, ritto sul limite della misera aia, apre le braccia benedicendo la campagna. Poi si avvia. «Che hai fatto, Maestro?», chiede Simone che ha notato l'insolito gesto. «Ho messo un sigillo su tutte le cose.

Perché i satana non possano, nuocendo ad esse, nuocere a quegli infelici. Non potevo nulla di più...». «Maestro... andiamo avanti più svelti. Ti vorrei dire una cosa che non fosse udita». Si staccano ancor più dal gruppo e Simone parla. «Vorrei dirti che Lazzaro ha ordine di usare la somma per soccorrere tutti coloro che in nome di Gesù ad esso ricorrono. Non potremmo affrancare Giona? Quell'uomo è sfinito e non ha più che la gioia di averti. Diamogliela. La sua opera, li, che vuoi che sia? Libero, sarebbe il tuo discepolo in questa pianura così bella e così desolata. Qui i più ricchi in Israele hanno terre opime e le spremono con usura crudele, esigendo dai lavoratori il cento per uno.

Lo so da anni. Qui poco potrai sostare, perché qui impera la setta farisaica e non credo ti sarà mai amica. I più infelici in Israele sono questi lavoratori oppressi e senza luce. Tu l'hai udito, neppure per la Pasqua hanno pace e preghiera, mentre i duri padroni, con grandi gesti e studiate manifestazioni, si mettono in prima fila fra i fedeli. Avranno almeno la gioia di sapere che Tu ci sei, di udire, ripetute da uno che non ne altererà uno iota, le tue parole. Se credi, Maestro, dà ordini, e Lazzaro farà». «Simone, Io avevo compreso perché tu ti spogliavi di tutto. Non mi è ignoto il pensiero dell'uomo.

E ti ho amato anche per questo. Facendo felice Giona, fai felice Gesù. Oh! come mi angustia vedere soffrire chi è buono! La mia condizione di povero e spregiato dal mondo non mi angustia che per questo. Giuda, se mi udisse, direbbe: "Ma non sei Tu il Verbo di Dio? Ordina, e le pietre diverranno oro e pane per i miseri. Ripeterebbe l'insidia di Satana. Ben Io voglio sfamare le fami. Ma non come Giuda vorrebbe. Ancora siete troppo informi per capire la profondità di quanto dico. Ma a te lo dico: se Dio a tutto provvedesse, commetterebbe furto verso i suoi amici. Li priverebbe della facoltà di essere misericordiosi e di ubbidire perciò al comandamento d'amore.

I miei amici devono avere questo segno di Dio, in comune con Lui: la santa misericordia che è di opere e di parole. E le infelicità altrui danno modo ai miei amici di esercitarla. Hai compreso il pensiero?». «É profondo. Lo medito. E mi umilio, comprendendo quanto sono ottuso e quanto grande è Dio, che ci vuole con tutti i suoi attributi più dolci per dirci suoi figli. Dio mi si svela, nella sua molteplice perfezione, da ogni luce che Tu mi getti nel cuore. Di giorno in giorno, come uno che procede in luogo sconosciuto, io aumento la cognizione di questa immensa Cosa che è la Perfezione che ci vuole chiamare "figli", e mi pare di salire come un'aquila o di immergermi come un pesce in due profondità senza confine quali sono il cielo e il mare, e sempre più salgo e mi immergo, né mai tocco limite. Ma che è dunque Dio?». «Dio è l'irraggiungibile Perfezione, Dio è la compiuta Bellezza, Dio è l'infinita Potenza, Dio è l'incomprensibile Essenza, Dio è l'insuperabile Bontà, Dio è l'indistruttibile Compassione, Dio è l'immisurabile Sapienza, Dio è l'Amore divenuto Dio. É l'Amore! É l'Amore! Tu dici che più conosci Dio nella sua perfezione e più ti pare di salire o immergerti in due profondità senza confine, di azzurro senz'ombre...

Ma, quando tu capirai cosa è l'Amore divenuto Dio, non salirai, non ti immergerai più nell'azzurro, ma in un gorgo incandescente di fiamme, e sarai aspirato verso una beatitudine che ti sarà morte e vita. Dio lo avrai, con completo possesso, quando, per la tua volontà, sarai riuscito a comprenderlo e a meritarlo. Allora ti fisserai nella sua perfezione». «O Signore!»... Simone è sopraffatto. Si fa il silenzio. La strada viene raggiunta. Gesù sosta in attesa degli altri. Quando il gruppo si riunisce, Levi si inginocchia: «Dovrei lasciarti, Maestro. Ma il tuo servo ti fa una preghiera. Portami da tua Madre. Costui è orfano come me. Non negare a me ciò che a lui dai perché veda un volto di madre...». «Vieni. Quanto in nome di mia Madre si chiede, in nome di mia Madre Io do»...

Gesù è solo. Cammina velocemente fra boschi di ulivi carichi di ulivette già ben formate. (…) Gesù procede e sorride. Raggiunge un balzo... e sorride ancor più vivamente. Ecco là Nazaret... pare tremolare nel sole, tanto l'incandescenza del sole la stringe. Gesù scende ancor più veloce. Raggiunge la via, ora, senza curarsi del sole. (…) Svolta per una stradetta che per metà è nell'ombra. Lì vi sono donne che si affollano ad un pozzo fresco. Lo salutano quasi tutte e con voci acute di ben tornato. «La pace a voi tutte... Ma fate silenzio.

Voglio fare una sorpresa a mia Madre». «Sua cognata è andata via ora con una brocca fresca. Ma deve tornare. Sono rimaste senz'acqua. La sorgiva è asciutta o si sperde nel suolo ardente prima di giungere al tuo orto. Non sappiamo. Maria d'Alfeo lo diceva ora. Eccola che viene». La madre di Giuda e Giacomo viene con un'anfora sul capo e una per mano. Non vede subito Gesù e grida: «Così faccio più presto. Maria è tutta triste, perché i suoi fiori muoiono di sete. Sono ancora quelli di Giuseppe e di Gesù, e le pare che le si strappi il cuore a vederli languire». «Ma ora che vede Me...», dice Gesù apparendo da dietro il gruppo. «Oh! il mio Gesù! Te benedetto! Lo vado a dire...».

«No. Vado Io. Dàmmi le anfore». «La porta è solo accostata. Maria è nell'orto. Oh! come sarà felice! Parlava di Te anche stamane. Ma con questo sole! Venire! Sei tutto sudato! Sei solo?». «No. Con amici. Ma sono venuto avanti. Per vedere prima la Mamma. E Giuda?». a Cafarnao. Vi va spesso...». Maria non dice altro. Ma sorride, mentre asciuga col suo velo il volto bagnato di Gesù. Le brocche sono pronte. Gesù se ne carica due a bilico sulle spalle, usando la sua cintura, e l'altra la porta con la mano.

Va, svolta, giunge alla casa, spinge la porta, entra nella stanzetta che pare scura rispetto al gran sole esterno, alza piano la tenda che fa riparo alla porta dell'orto, osserva. Maria è ritta presso un rosaio, volgendo le spalle alla casa, e compassiona la pianta assetata. Gesù posa la brocca a terra, e il rame suona battendo contro un sasso. «Già qui, Maria?», dice la Mamma senza voltarsi. «Vieni, vieni. Guarda questo rosaio! E questi poveri gigli. Morranno tutti se non li soccorriamo. Porta anche delle cannucce per sorreggere questo stelo che cade». «Tutto ti porto, Mamma».

Maria si volge di scatto. Resta per un secondo ad occhi sbarrati, poi con un grido corre a braccia tese verso il Figlio, che ha già aperto le sue e l'attende con un sorriso tutto amore. «Oh! Figlio mio!». «Mamma! Cara!». L'espansione è lunga, soave, e Maria è tanto felice che non vede, non sente quanto sia accaldato Gesù. Ma poi si sovviene: «Perché, Figlio, in tale ora? Sei di porpora e sudi come una spugna. Vieni, vieni dentro. Che la Mamma ti asciughi e rinfreschi. Ora ti porto una veste nuova e sandali mondi. Ma Figlio! Figlio! Perché in giro con questo sole? Muoiono le piante per il calore e Tu, mio Fiore, vai in giro!». «Per venire prima da te, Mamma!».

«Oh! caro! Hai sete? Certo l'hai. Ora ti preparo...». «Sì, del tuo bacio, Mamma. Delle tue carezze. Lasciami stare così, col capo sulla tua spalla, come quando ero piccino... Oh! Mamma! Come mi manchi!». «Ma dimmi di venire, Figlio, ed io verrò. Che ti è mancato per la mia assenza? cibo a Te gradito? vesti fresche? letto ben fatto? Oh! dimmelo, mia Gioia, che t'è mancato. La tua serva, o Signor mio, cercherà di provvedere».

«Nulla che tu non fossi...». Gesù, che è rientrato tenuto per mano dalla Mamma e che si è seduto sulla cassapanca presso la parete, avendo di fronte Maria che cinge con le braccia, stando col capo contro il suo cuore e baciandola di tanto in tanto, ora la guarda fissa. «Lascia che Io ti guardi. Che mi empia la vista di te, Mamma mia santa!». «Prima la veste. E male stare così bagnato. Vieni». Gesù ubbidisce. Quando torna in una veste fresca, il colloquio riprende, soave. «Sono venuto con discepoli e amici.

Ma li ho lasciati nel bosco di Melca. Verranno domani all'aurora. Io... non potevo più attendere. La mia Mamma!…», e le bacia le mani. «Maria di Alfeo si è ritirata per lasciarci soli. Anche lei ha capito la mia sete di te. Domani... domani sarai tu dei miei amici ed Io dei nazareni. Ma questa sera tu sei l'Amica mia ed Io il tuo. Ti ho portato... oh! Mamma, ho trovato i pastori di Betlemme. E ti ho portato due di essi: sono orfani e tu sei la Madre. Di tutti. E più degli orfani. E ti ho portato anche uno che ha bisogno di te per vincere se stesso. E un altro che è un giusto e che ha pianto.

E poi Giovanni... E ti ho portato il ricordo di Elia, di Isacco, Tobia ora Mattia, Giovanni e Simeone. Giona è il più infelice. Ti porterò a lui. L'ho promesso. Altri li cercherò ancora. Samuele e Giuseppe sono nella pace di Dio». «Fosti a Betlemme?». «Sì, Mamma. Vi ho portato i discepoli che avevo meco. E ti ho portato questi fioretti, nati fra le pietre della soglia». «Oh!». Maria prende gli steli disseccati e li bacia. «E Anna?». «É morta nella strage di Erode». «Oh! misera! Ti amava tanto!». «I betlemmiti hanno molto sofferto. E non sono stati giusti coi pastori. Ma hanno molto sofferto...».

«Ma con Te furono buoni allora!». «Sì. Per questo vanno compatiti. Satana è invidioso di quella loro bontà e li aizza al male. Sono stato anche a Ebron. I pastori, perseguitati, ... «Oh! fino a tanto?!». «Sì. Furono aiutati da Zaccaria, e per lui ebbero padroni e pane, anche se duri padroni. Ma sono anime di giusti, e delle persecuzioni e delle ferite si sono fatti pietre di santità. Li ho radunati. Ho guarito Isacco e... e ho dato il mio Nome ad un piccino... A Jutta, dove Isacco languiva e da dove risorse, vi è ora un gruppo innocente che si chiama Maria, Giuseppe e Jesai...». «Oh! il tuo Nome!».

«E il tuo, e quello del Giusto. E a Keriot, patria di un discepolo, un fedele israelita mi mori sul cuore. Di gioia di avermi avuto... E poi... oh! quante cose ho da dirti, mia perfetta Amica, Madre soave! Ma per prima, Io te ne prego, chiedo da te tanta pietà per quelli che verranno domani. Ascolta: mi amano... ma non sono perfetti. Tu, Maestra di virtù... oh! Madre, aiutami a farli buoni... Io li vorrei tutti salvare...». Gesù è scivolato ai piedi di Maria. Ora Lei appare nella sua maestà di Madre.

«Figlio mio! Che vuoi che faccia la tua povera Mamma più di Te?». «Santificarli... La tua virtù santifica. Te li ho portati apposta. Mamma... un giorno ti dirò: "Vieni", perché allora sarà urgente santificare gli spiriti, perché Io trovi in loro volontà di redenzione. E Io solo non potrò... Il tuo silenzio sarà attivo come la mia parola. La tua purezza aiuterà la mia potenza. La tua presenza terrà indietro Satana... e tuo Figlio, Mamma, troverà forza nel saperti vicina. Verrai, non è vero, mia dolce Madre?».

«Gesù! Caro! Figlio! Non ti sento felice... Che hai, Creatura del mio cuore? Fu duro con Te il mondo? No? Mi è sollievo crederlo... ma... Oh! sì. Verrò. Dove Tu vuoi. Come Tu vuoi. Quando Tu vuoi. Anche ora, sotto al sole, sotto le stelle come nel gelo e fra i piovaschi. Mi vuoi? Eccomi». «No. Ora no. Ma un giorno... Come è dolce la casa! E la tua carezza! Lasciami dormire così, col capo sui tuoi ginocchi. Sono tanto stanco! Sono sempre il tuo Figliolino… E Gesù realmente si addormenta, stanco e spossato, seduto sulla stuoia, col capo in grembo alla Madre che lo carezza sui capelli, beata.


Cuor di Gesù Tu sai, Cuor di Gesù Tu puoi,
Cuor di Gesù Tu vedi, Cuor di Gesù provvedi,
Cuor di Gesù pensaci tu

domenica 13 marzo 2011

Brano tratto da: L'evangelo come mi è stato rivelato di Maria Valtorta

L'addio alla Madre e partenza da Nazareth. Il pianto e la preghiera della Corredentrice.

Vedo l'interno della casa di Nazareth. Vedo una stanza, pare un tinello dove la Famiglia prenda i pasti e sosti nelle ore di riposo. (…) Alla tavola è seduto Gesù. Mangia e Maria lo serve andan­do e venendo da una porticina, che suppongo conduca al posto dove è il focolare, del quale si vede il bagliore dalla porta soc­chiusa. Gesù dice due o tre volte a Maria di sedere... e di mangiare Essa pure. Ma Lei non vuole, scuote il capo sorridendo mesta­mente e porta, dopo le verdure lessate, che mi pare abbiano il ruolo di minestra, dei pesci arrostiti e poi un formaggio piut­tosto molle, come un pecorino fresco, di forma appallottolata come una di quelle pietre che si vedono nei torrenti, e delle ulive piccole e scure. Il pane, e poco alto, è già sulla tavola.

E' piut­tosto scuro, come non fosse privato del cruschello. Gesù ha da­vanti un'anfora con dell'acqua e una coppa. Mangia in silen­zio, guardando la Mamma con doloroso amore. Maria, lo si vede visibilmente, è in pena. Va, viene, per darsi un contegno. Accende, e vi è ancora luce sufficiente, una lu­cerna e la mette presso a Gesù, e nell'allungare il braccio ca­rezza la testa del Figlio furtivamente, riapre una bisaccia, che mi pare di quelle stoffe tessute a mano di lana vergine e per­ciò impermeabile, color nocciola, vi fruga dentro, esce nell'orticello e va in fondo ad esso, in una specie di ripostiglio, ne esce con delle mele piuttosto vizze, certo conservate dall'estate, e le mette nella bisaccia, poi prende un pane e una formaggella e unisce anche questa, per quanto Gesù non voglia, dicendo che basta ciò che ha.

Poi Maria si accosta alla tavola di nuovo, dal lato più stretto, alla sinistra di Gesù, e lo guarda mangiare. Se lo guarda con struggimento, con adorazione, con il volto ancor più pallido del solito e che la pena rende come invecchiato, con gli occhi più grandi per un'ombra che li segna, indizio di lacrime già ver­sate. Sembrano anche più chiari del solito, come lavati dal pian­to che è già nell'occhio, pronto a cadere. Due occhi dolorosi e stanchi. Gesù, che mangia adagio e palesemente contro voglia, tanto per fare contenta la Madre, e che è pensieroso più del solito, alza il capo e la guarda.

 Incontra uno sguardo pieno di lacrime e curva il capo per lasciarla libera, limitandosi a pren­derle la manina sottile che Ella tiene appoggiata all'orlo del tavolo. Gliela prende con la sinistra e se la porta alla guan­cia, vi appoggia sopra la guancia e ve la strofina un momento per sentire la carezza di quella povera manina che trema, e poi la bacia sul dorso con tanto amore e rispetto. Vedo Maria che si porta la mano libera, la sinistra, alla boc­ca, come per soffocare un singhiozzo, e poi si asciuga con le dita un lacrimone che è traboccato dal ciglio e riga la guancia. Gesù riprende a mangiare e Maria esce svelta svelta nel­l'orticello, dove è ormai poca luce, e scompare. Gesù appoggia il gomito sinistro sul tavolo, e sulla mano appoggia la fronte e si immerge nei suoi pensieri, smettendo di mangiare. Poi ascolta e si alza.

 Esce anche Lui nell'orto e, dopo esser­si guardato intorno, si dirige verso destra, rispetto al lato del­la casa, ed entra, per una spaccatura, in una parete rocciosa, dentro a quello che riconosco per il laboratorio del falegname, questa volta tutto ordinato, senza assi, senza trucioli, senza fuoco acceso. Vi è il bancone e gli utensili, tutti al loro posto, e basta. Curva sul bancone, Maria piange. Sembra una bambina. Ha il capo sul braccio sinistro ripiegato e piange senza rumo­re, ma con molto dolore. Gesù entra piano e le si accosta così leggermente che Ella capisce che è lì solo quando il Figlio le posa la mano sulla testa china, chiamandola: «Mamma!» con voce di amoroso rimprovero.

Maria alza la testa e guarda Gesù fra un velo di pianto e si appoggia a Lui, con le due mani congiunte, contro al suo braccio destro. Gesù le asciuga il volto con un lembo della sua larga manica e poi l'abbraccia, tirandosela sul cuore e bacian­dola sulla fronte. Gesù è maestoso, sembra più virile del soli­to, e Maria sembra più bambina, fuorché nel volto che il dolo­re segna. «Vieni, Mamma» le dice Gesù e, tenendola stretta a Sé col braccio destro, si incammina tornando nell'orto, dove si sie­de su un banco contro il muro della casa. L'orto è silenzioso e ormai oscuro. Vi è solo un bel chiaro di luna e la luce che esce dal tinello. La notte è serena. Gesù parla a Maria.

Non intendo in principio le parole appena mormorate, alle quali Maria assente col capo. Poi odo: «E fàtti venire le parenti. Non rimanere sola. Sarò più tran­quillo, Madre, e tu sai se ho bisogno d'esser tranquillo per com­piere la mia missione. Il mio amore non ti mancherà. Io verrò sovente e ti farò avvertire quando sarò in Galilea e non potrò venire a casa. Tu verrai da Me, allora. Mamma, quest'ora do­veva venire. Si è iniziata qui, quando l'Angelo ti apparve; ora scocca e noi dobbiamo viverla, non è vero, Mamma? Dopo ver­rà la pace della prova superata e la gioia. Prima bisogna vali­care questo deserto come gli antichi Padri per entrare nella Terra Promessa.

Ma il Signore Iddio ci aiuterà come aiutò lo­ro. E ci darà il suo aiuto come manna spirituale per nutrire il nostro spirito nello sforzo della prova. Diciamo insieme al Padre nostro...». E Gesù si alza e Maria con Lui e alzano il volto al cielo. Due ostie vive che lucono nell'oscurità. Gesù dice lentamente, ma con voce chiara e scandendo le parole, la preghiera dominicale. Appoggia molto sulle frasi: «adveniat Reguum tuum, fiat voluntas tua» distanziando mol­to queste due frasi dalle altre. Prega con le braccia aperte, non proprio a croce, ma come stanno i sacerdoti quando si volgono a dire: «Dominus vobiscum». Maria tiene le mani congiunte.

Poi tornano in casa e Gesù, che non ho mai visto bere vino, versa in una coppa, da un'anfora presa sulla scansia, un poco di vino bianco e la porta sulla tavola, prende per mano Maria e la obbliga a sedersi vicino a Lui e a bere di quel vino, in cui intinge una fettina di pane che le fa mangiare. L'insi­stenza è tale che Maria cede. Gesù beve il rimanente vino. E poi si stringe la Mamma al fianco e se la tiene così, contro la persona, dalla parte del cuore. Né Gesù né Maria stanno sdraia­ti, ma seduti come noi. Non parlano più. Attendono. Maria ca­rezza la mano destra di Gesù e le sue ginocchia. Gesù carezza Maria sul braccio e sul capo. Poi Gesù si alza e Maria con Lui e si abbracciano e si ba­ciano amorosamente più e più volte. Sembra che sempre si vo­gliano lasciare, ma Maria torna a stringere a sé la sua Crea­tura.

E' la Madonna, ma è una mamma infine, una mamma che si deve staccare dal suo figlio e che sa dove conduce quel distacco. Non mi si venga più a dire che Maria non ha soffer­to. Prima lo credevo poco, ora più affatto. Gesù prende il mantello (blu scuro) e se lo drappeggia sul­le spalle e sul capo a cappuccio. Poi si passa a tracolla la bi­saccia, di modo che non gli ostacoli il cammino. Maria lo aiu­ta e mai finisce di accomodargli la veste e il manto e il cap­puccio, e intanto lo carezza ancora. Gesù va verso l'uscio dopo avere tracciato un gesto di be­nedizione nella stanza.

Maria lo segue e sull'uscio ormai aperto si baciano ancora. La via è silenziosa e solitaria, bianca di luna. Gesù si in­cammina. Si volta ancora per due volte a guardare la Mam­ma, che è rimasta appoggiata allo stipite, più bianca della lu­na e tutta lucente di pianto silenzioso. Gesù si allontana sem­pre più per la viuzza bianca. Maria piange sempre contro la porta. Poi Gesù scompare ad una svolta della via. E' cominciato il suo cammino di Evangelizzatore, che ter­minerà al Golgota. Maria entra piangendo e chiude la porta. Anche per Lei è cominciato il cammino che la porterà al Gol­gota. E per noi...

Dice Gesù: «Questo è il quarto dolore di Maria Madre di Dio. Il primo, la presentazione al Tempio; il secondo, la fuga in Egitto; il terzo, la morte di Giuseppe; il quarto, il mio distacco da Lei. Conoscendo il desiderio del Padre, ti ho detto ieri sera che affretterò la descrizione dei "nostri" dolori perché siano resi noti. Ma, come vedi, già ne erano stati illustrati di quelli di mia Madre. Ho spiegato prima la fuga che la presentazione, perché vi era bisogno di farlo in quel giorno. Io so.

 E tu com­prendi e dirai il perché al Padre. A voce. E' mio disegno alternare le tue conteìnplazioni, e le mie conseguenti spiegazioni, coi dettati veri e propri, per solleva­re te e il tuo spirito dandoti la beatitudine del vedere, e anche perché così è palese la differenza stilistica fra il tuo comporre ed il mio. Inoltre, davanti a tanti libri che parlano di Me e che, tocca e ritocca, muta e infronzola, sono divenuti irreali, Io ho desi­derio di dare a chi in Me crede una visione riportata alla veri­tà del mio tempo mortale. Non ne esco diminuito, ma anzi re­so più grande nella mia umiltà, che si fa pane a voi per inse­gnarvi ad essere umili e simili a Me, che fui uomo come voi e che portai nella mia veste d'uomo la perfezione di un Dio.

Dovevo essere Modello vostro, e i modelli devono essere sem­pre perfetti. Non terrò nelle contemplazioni una linea cronologica cor­rispondente a quella dei Vangeli. Prenderò i punti che trove­rò più utili in quel giorno per te o per altri, seguendo una mia linea di insegnamento e di bontà. L'insegnamento che viene dalla contemplazione del mio distacco va specialmente ai genitori e ai figli, che la volontà di Dio chiama alla rinuncia reciproca per un più alto amore. In secondo luogo va a tutti coloro che si trovano di fronte ad una rinuncia penosa. Quante ne trovate nella vita! Esse sono spine sulla terra e trafiggenti il cuore, lo so.

 Ma a chi le accoglie con rassegna­zione - badate, non dico: "a chi le desidera e le accoglie con gioia (ciò è già perfezione); dico: '' con rassegnazione, - si mutano in eterne rose. Ma pochi le accolgono con rassegna­zione. Come asinelli restii, recalcitrate al volere del Padre e vi impuntate, se pur non cercate colpire con spirituali calci e morsi, ossia con ribellione e bestemmie al buon Dio. E non dite: "Ma io non avevo che questo bene e Dio me l'ha tolto. Ma io non avevo che questo affetto e Dio me l'ha strappato". Anche Maria, donna gentile, amorosa alla perfe­zione, perché nella Tutta Grazia anche le forme affettive e sen­sitive erano perfette, non aveva che un bene e un amore sulla terra: il Figlio suo. Non le rimaneva che Quello.

 I genitori morti da tempo, Giuseppe morto da qualche anno. Non c'ero che Io per amarla e farle sentire che non era sola. I parenti, per ca­gione di Me, di cui non sapevano l'origine divina, le erano un poco ostili, come verso una mamma che non sa imporsi al fi­glio che esce dal comune buon senso, che rifiuta le nozze pro­poste, le quali potrebbero dare lustro alla famiglia, e aiuto anche. I parenti, voce del senso comune, del senso umano - voi lo chiamate buon senso, ma non è che senso umano, ossia egoi­smo - avrebbero voluto queste pratiche svolte nella mia vita. In fondo c'era sempre la paura di dovere un giorno passare delle noie per causa mia, che già osavo mettere fuori delle idee troppo idealiste, secondo loro, le quali potevano urtare la sinagoga. La storia ebraica era piena di inseguamenti sulla sorte dei pro­feti.

Non era una facile missione quella del profeta, e dava so­vente morte allo stesso e noie al parentado. In fondo c'era sem­pre il pensiero di dovere, un giorno, occuparsi di mia Madre. Perciò il vedere che Ella non mi ostacolava in nulla e pare­va in continua adorazione davanti al Figlio, li urtava. Questo urto sarebbe poi cresciuto nei tre anni di ministero, sino a cul­minare nei rimproveri aperti quando mi raggiungevano in mez­zo alle folle e si vergognavano della mia, secondo loro, mania di urtare le caste potenti.

Rimprovero a Me e a Lei, povera Mamma! Eppure Maria, che sapeva l'umore dei parenti - non tut­ti furono come Giacomo e Giuda e Simone, né come la loro ma­dre Maria di Cleofa - e che prevedeva l'umore futuro, Maria, che sapeva la sua sorte durante quei tre anni e quella che l'at­tendeva alla fine degli stessi e la sorte mia, non recalcitrò co­me voi fate. Pianse.

E chi non avrebbe pianto davanti ad una separazione da un figlio che l'amava come Io l'amavo, davan­ti alla prospettiva dei lunghi giorni, vuoti della mia presenza, nella casa solitaria, davanti al futuro del Figlio destinato a dare di cozzo contro il malanimo di chi era colpevole e che si vendicava d'esser colpevole offendendo l'Incolpevole sino ad ucciderlo? Pianse perché era la Corredentrice e la Madre del genere umano rinato a Dio, e doveva piangere per tutte le mamme che non sanno fare, del loro dolore di madri, una corona di glo­ria eterna.

 Quante madri nel mondo, a cui la morte svelle dalle brac­cia una creatura! Quante madri a cui un soprannaturale vole­re strappa dal fianco un figlio! Per tutte le sue figlie, come Ma­dre dei cristiani, per tutte le sue sorelle, nel dolore di madre orbata, ha pianto Maria. E per tutti i figli che, nati da donna, sono destinati a divenire apostoli di Dio o martiri per amore di Dio, per fedeltà a Dio, o per ferocia umana. Il mio Sangue e il pianto di mia Madre sono la mistura che fortifica questi segnati a eroica sorte, quella che annulla in loro le imperfezioni, o anche le colpe commesse dalla loro debolezza, dando, oltre al martirio, comunque subito, la pace di Dio e, se sofferto per Dio, la gloria del Cielo.

Le trovano i missionari come fiamma che scalda nelle re­gioni dove la neve impera, le trovano come rugiada là dove il sole arde. Sono spremute dalla carità di Maria e sono sgor­gate da un cuore di giglio. Hanno perciò, della carità vergina­le sposata all'Amore, il fuoco, e della verginale purezza la pro­fumata frescura, simile a quella dell'acqua raccolta nel calice di un giglio dopo una notte rugiadosa. Le trovano i consacrati in quel deserto che è la vita mona­stica bene intesa: deserto, perché non vive che l'unione con Dio, e ogni altro affetto cade divenendo unicamente carità sopran­naturale: per i parenti, gli amici, i superiori, gli inferiori. Le trovano i consacrati a Dio nel mondo, nel mondo che non li capisce e non li ama, deserto anche per questi, in cui essi vivono come fossero soli, tanto sono incompresi e derisi per amor mio.

 Le trovano le mie care "vittime", perché Maria è la pri­ma delle vittime per amore di Gesù, ed alle sue seguaci Ella dà, con mano di Madre e di Medico, le sue lacrime che ristorano e inebbriano a più alto sacrificio. Santo pianto della Madre mia! Maria prega. Non si rifiuta di pregare perché Dio le dà un dolore. Ricordatelo. Prega insieme a Gesù. Prega il Padre. Nostro e vostro. Il primo "Pater noster" è stato pronunciato nell'orto di Nazareth per consolare la pena di Maria, per offrire le "no­stre" volontà all'Eterno nel momento che si iniziava per que­ste volontà il periodo di sempre crescente rinunzia, culminan­te a quella della vita per Me e della morte di un Figlio per Maria.

 E, per quanto noi non avessimo nulla da farci perdonare dal Padre, pure per umiltà noi, i Senza Colpa, abbiamo chie­sto il perdono del Padre per andare perdonati, assolti anche di un sospiro, incontro alla nostra missione degnamente. Per insegnarvi che piu si è in grazia di Dio e più la missione è be­nedetta e fruttuosa. Per insegnarvi il rispetto a Dio e l'umil­tà. Davanti a Dio Padre anche le nostre due perfezioni di Uo­mo e di Donna si sono sentite nulla e hanno chiesto perdono. Come hanno chiesto il "pane quotidiano". Quale era il nostro pane? Oh! non quello impastato dalle pure mani di Maria e cotto nel piccolo forno, per il quale tante volte avevo formato fastelli e fascine.

 Anche quello necessa­rio finché si è sulla terra. Ma il "nostro" pane quotidiano era quello di fare giorno per giorno la nostra parte di missione. Che Dio ce la desse ogni giorno, perché fare la missione che Dio dà è la gioia del "nostro" giorno, non è vero, piccolo Gio­vanni? Non lo dici anche tu che ti par vuoto il giorno, ti pare non stato, se la bontà del Signore ti lascia un giorno senza la tua missione di dolore? Maria prega insieme a Gesù. E' Gesù che vi giustifica, fi­gli. Sono Io che rendo accettevoli e fruttuose le vostre preghiere presso il Padre.

 Io l'ho detto: "Tutto quello che chiederete al Padre in mio nome, Egli ve lo concederà", e la Chiesa avvalo­ra le sue orazioni dicendo: "Per Gesù Cristo Signor nostro". Quando pregate, unitevi sempre, sempre, sempre a Me. Io pregherò a voce alta per voi, coprendo la vostra voce di uomi­ni con la mia di Uomo-Dio. Io metterò sulle mie mani trafitte la vostra preghiera e l'eleverò al Padre. Diverrà ostia di pre­gio infinito. La mia voce fusa con la vostra salirà come bacio filiale al Padre, e la porpora delle mie ferite farà prezioso il vostro pregare. Siate in Me se volete avere il Padre in voi, con voi, per voi. Hai finito la narrazione dicendo: "E per noi...", e vole­vi dire: "per noi che siamo così ingrati verso questi Due che hanno montato il Calvario per noi". Hai fatto bene a mettere quelle parole. Mettile ogni volta che ti farò vedere un nostro dolore. Sia come la campana che suona e che chiama a medi­tare e a pentirsi. Basta, ora. Riposa. La pace sia con te».

venerdì 11 marzo 2011

Brano tratto da: L'evangelo come mi è stato rivelato di Maria Valtorta - la morte di Giuseppe -

 Gesù è la pace di chi soffre e di chi muore. Vedo un interno di laboratorio da falegname. (…) Gesù lavora ad un tavolone da falegname. Sta piallando delle tavole che poi addossa al muro dietro a Sé. Poi prende una specie di sgabello, stretto a due lati in una morsa, lo libe­ra dalla stessa, guarda se il lavoro è esatto, lo squadra in tutti i sensi, poi va al camino, prende il pentolino e vi fruga dentro con un bastoncino o pennello, non so; io vedo solo la parte che sporge e che è simile a un bastoncino. Gesù è vestito di nocciola scuro e ha la tunica piuttosto corta, le maniche rimboccate oltre il gomito e una specie di grem­biule davanti, nel quale si sfrega le dita dopo aver toccato il pentolino. E' solo.

 Lavora assiduamente ma con pacatezza. Nessuna mossa disordinata, impaziente. E' preciso e continuo nel suo lavoro. Non si infastidisce di nulla, né di un nodo nel legno che non si lascia piallare, né di un cacciavite (mi pare) che gli cade due volte dal banco, né del fumo sparso che gli deve an­dare negli occhi. Ogni tanto alza il capo e guarda verso la parete sud, dove è una porta chiusa, come ascoltando. A un dato momento si affaccia, aprendo una porta che è nella parete est e che dà sul a via. Vedo uno squarcio di viuzza polverosa. Sembra che at­tenda qualcuno. Poi torna al lavoro. Non è triste, ma è serio. Rinchiude l'uscio e torna al lavoro. Mentre è occupato a fabbricare qualcosa che mi sembra­no pezzi di cerchio di ruota, entra la Mamma. Entra da una porta della parete meridionale.

 Entra affrettatamente e corre verso Gesù. E' vestita di azzurro cupo è senza nulla sul capo. Una semplice tunica, tenuta stretta alla vita da un cordone d'uguale colore. Chiama con affanno il Figlio e gli si appoggia con ambo le mani ad un braccio con mossa di supplica e di do­lore. Gesù la carezza passandole il braccio sulla spalla e la con­forta, poi si avvia con Essa lasciando subito il lavoro e levan­dosi il grembiule. Penso che lei voglia sapere anche le parole dette. Ben po­che da parte di Maria: «Oh! Gesù! Vieni, vieni. Sta male!».
Vengono dette con labbra che tremano e con un luccichìo di pianto negli occhi arrossati e stanchi. Gesù non dice che: «Mamma!» ma vi è tutto in quella parola.

Entrano nella stanza accanto, tutta ridente di sole che en­tra da una porta spalancata su un orticello pieno di luce e di verde, nel quale svolazzano dei colombi fra uno sventolìo di panni stesi ad asciugare. La stanza è povera ma ordinata. Vi è un giaciglio basso, coperto di materassini (dico materassini perché sono certe cose alte e morbide, ma non è un letto come il nostro). Su esso, appoggiato a molti cuscini, è Giuseppe. E' morente. Lo dice chiaramente il volto di un pallore livido, l'oc­chio spento, il petto anelante e l'abbandono di tutto il corpo. Maria si mette alla sua sinistra, gli prende la mano ru­gosa e livida nelle unghie, la strofina, la carezza, la bacia, gli asciuga con un pannilino il sudore che fa righe lucide alle tem­pie incavate, la lacrima che si invetra nell'angolo dell'occhio, gli bagna le labbra con un lino intinto in un liquido che pare vino bianco. Gesù si mette a destra.

Solleva con sveltezza e cura il cor­po che si affossa, lo raddrizza sui cuscini che accomoda insie­me a Maria. Carezza sulla fronte l'agonizzante e cerca di ria­nimarlo. Maria piange piano, senza rumore, ma piange. I lacrimoni rotolano lungo le guance pallide sino sulla veste azzurro cupo e sembrano zaffiri lucenti. Giuseppe si rianima alquanto e guarda fisso Gesù, gli dà la mano come per dirgli qualcosa e per avere, al contatto divino, forza nell'ultima prova. Gesù si china su quella mano e la bacia. Giuseppe sorride. Poi si volge a cercare con lo sguar­do Maria e sorride anche a Lei. Maria si inginocchia presso il letto cercando di sorridere. Ma le riesce male e curva il ca­po. Giuseppe le mette la mano sul capo con una casta carezza che pare una benedizione.

Non si sente che lo svolazzìo e il tubare dei colombi, il fru­sciare delle foglie, un chioccolìo di acqua e, nella stanza, il re­spiro del morente. Gesù gira intorno al letto, prende uno sgabello e fa sedere Maria chiamandola ancora e unicamente: «Mamma». Poi tor­na al suo posto e riprende nelle sue la mano di Giuseppe. E' così vera la scena che io piango per la pena di Maria. Poi Gesù, curvandosi sul morente, gli mormora un salmo. So che è un salmo, ma ora non posso dirle quale. Comincia così: «Proteggimi, o Signore, perché in Te ho posto la mia speranza... A pro dei santi che sono nella terra di lui ha compiuto mi­rabilmente tutti i miei desideri...Benedirò il Signore che mi dà consiglio... Io tengo sempre dinnanzi a me il Signore. Egli mi sta alla destra perché io non vacilli. Per questo si rallegra il mio cuore ed esulta la mia lingua, anche il mio corpo riposerà nella speranza.

Perché Tu non abbandonerai l'anima mia nel soggiorno dei morti, né permetterai che il tuo santo veda la corruzione. Mi farai conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia colla tua faccia.» Giuseppe si rianima tutto e con uno sguardo più vivo sorri­de a Gesù e gli stringe le dita. Gesù risponde con un sorriso al sorriso e con una carezza alla stretta, e continua dolcemente, curvo sul suo padre pu­tativo: «Quanto sono amabili i tuoi Tabernacoli, o Signore. L'anima mia si consuma di desiderio verso gli atrii del Signore. Anche il passero si trova una casa e la tortorella un nido per i suoi nati. Io desidero i tuoi altari, Signore. Beati coloro che abitano la tua casa... Beato l'uomo che trova in Te la sua forza. Egli ha disposte nel suo cuore le ascensioni dalla valle delle lacrime al luogo eletto. O Signore, ascolta la mia preghiera... O Dio, volgi il tuo sguardo e mira la faccia del tuo Cri­sto...».

Giuseppe con un singhiozzo guarda Gesù e fa il moto di par­lare come per benedirlo. Ma non può. Si comprende che capi­sce, ma ha la parola impedita. E' però felice e guarda con vi­vacità e fiducia il suo Gesù. «"O Signore"» continua Gesù. «"Tu sei stato propizio alla tua terra, hai liberato dalla schiavitù Giacobbe... Mostraci, o Signore, la tua misericordia e donaci il tuo Sal­vatore. Voglio sentire quel che dice dentro di me il Signore Iddio. Certo Egli parlerà di pace al suo popolo per i suoi santi e per chi di cuore torna a Lui.

Si, la tua salute è vicina... e la gloria abiterà sulla terra... La bontà e la verità si sono incontrate, la giustizia e la pace si sono baciate. La verità è spuntata dalla terra e la giustizia ha guardato dal Cielo. Si, il Signore si mostrerà benigno e la nostra terra darà il suo frutto. La giustizia camminerà dinnanzi a Lui e lascerà nella via le sue impronte". Tu l'hai vista quest'ora, padre, e per essa ti sei affaticato. Tu hai aiutato quest'ora a formarsi, e il Signore te ne darà premio. Io te lo dico» aggiunge Gesù, asciugando una lacri­ma di gioia che scende lenta sulla guancia di Giuseppe.

Poi riprende: «"O Signore, ricordati di Davide e di tutta la sua mansuetudine. Come egli giurò al Signore: io non entrerò dentro alla mia casa, non salirò sul letto del mio riposo, non concederò sonno agli occhi miei, non riposo alle mie palpebre, non requie alle mie tempie finché non ho trovato un posto al Signore, una di­mora per il Dio di Giacobbe... Sorgi, o Signore, e vieni al tuo riposo, Tu e l'Arca della tua santità (Maria comprende e ha uno scoppio di pianto). Sian rivestiti di giustizia i tuoi sacerdoti e faccian festa i tuoi santi.

Per amore di Davide tuo servo non negarci il volto del tuo Cristo. Il Signore ha giurato a Davide la promessa e la manterrà: 'Porrò sul tuo trono il frutto del tuo seno'. Il Signore l'ha scelta a sua dimora...Io farò fiorire la potenza di Davide preparando una fiacco­la accesa per il mio Cristo". Grazie, padre mio, per Me e per la Madre. Tu mi sei stato padre giusto, e te ha posto l'Eterno a custodia del suo Cri­sto e della sua Arca. Tu fosti la fiaccola accesa per Lui, e per il Frutto del seno santo hai avuto viscere di carità. Va' in pa­ce, padre. La Vedova non sarà senza aiuto. Il Signore ha pre­disposto perché sola non sia. Vai sereno al tuo riposo. Io te lo dico».

Maria piange col volto curvo sulle coperte (sembrano man­telli) stese sul corpo di Giuseppe, che si raffredda. Gesù affret­ta i suoi conforti, perché l'anelito si fa più affannoso e lo sguar­do torna a velarsi. «Felice l'uomo che teme il Signore e pone nei suoi co­mandamenti ogni diletto... La giustizia di lui rimane nei secoli dei secoli. Fra gli uomini retti sorge fra le tenebre come luce il mise­ricordioso, il benigno, il giusto... Il giusto sarà ricordato in eterno... La sua giustizia è eter­na, la sua potenza si alzerà fino alla gloria... Tu l'avrai questa gloria, padre. Presto verrò a trarti, coi Patriarchi che ti hanno preceduto, alla gloria che ti attende. Esulti il tuo spirito nella mia parola. "Chi riposa nell'aiuto dell'Altissimo vive sotto la protezione del Dio del Cielo. Tu vi sei, padre mio. "

Egli mi liberò dal laccio dei cacciatori e dalle aspre parole. Ti coprirà colle sue ali e sotto alle sue penne troverai rifugio. La sua verità ti circonderà come scudo, non temerai i not­turni spaventi... Non si avvicinerà a te il male... perché ai suoi angeli ha dato l'ordine di custodirti in tutte le tue vie. Ti porteranno sulle loro palme, affinché il tuo piede non urti nei sassi. Camminerai sopra l'aspide e il basilisco e calpesterai il dra­gone e il leone. Perché hai sperato nel Signore, Egli ti dice, o padre, che ti libererà e ti proteggerà. Perché hai alzato a Lui la tua voce ti esaudirà, sarà teco nella tribolazione ultima, ti glorificherà dopo questa vita, fa­cendoti vedere già da questa la sua Salvezza",

e nell'altra fa­cendoti entrare, per la Salvezza che ora ti conforta e che pre­sto, oh!, presto verrà, te lo ripeto, a cingerti di un abbraccio divino e a portarti Seco, alla testa di tutti i Patriarchi, là dove è preparata la dimora del Giusto di Dio che mi fu padre be­nedetto. Precedimi per dire ai Patriarchi che la Salvezza è nel mon­do e il Regno dei Cieli presto sarà a loro aperto. Va', padre. La mia benedizione ti accompagni». La voce di Gesù si è elevata per giungere alla mente di Giuseppe, che sprofonda nelle nebbie della morte. La fine è imminente. Il vecchio ansima a fatica. Maria lo carezza, Gesù si siede sulla sponda del lettuccio e cinge e attira a Sé il mo­rente, che si accascia e si spegne senza sussulti. La scena è piena di una pace solenne. Gesù riadagia il Pa­triarca e abbraccia Maria, che in ultimo si era avvicinata a Gesù nello strazio che la angosciava.

Dice Gesù: «A tutte le mogli che un dolore tortura, insegno ad imita­re Maria nella sua vedovanza: unirsi a Gesù. Quelli che pensano che Maria non abbia sofferto per le pe­ne del cuore, sono in errore. Mia Madre ha sofferto. Sappiatelo. Santamente, perché tutto in Lei era santo, ma acutamente. Coloro che pensano che Maria amasse di un amore tiepido lo sposo, poiché le era sposo di spirito e non di carne, sono pa­rimenti in errore. Maria amava intensamente il suo Giusep­pe, al quale aveva dedicato sei lustri di vita fedele.

Giuseppe le era stato padre, sposo, fratello, amico, protettore. Ora Ella si sentiva sola come tralcio di vite al quale viene segato l'albero a cui si reggeva. La sua casa era come colpita dal fulmine. Si divideva. Prima era una unità in cui i membri si sostenevano a vicenda. Ora veniva a mancare il muro mae­stro, primo dei colpi inferti a quella Famiglia, segnacolo del prossimo abbandono del suo amato Gesù.

La volontà dell'Eterno, che l'aveva voluta sposa e Madre, ora le imponeva vedovanza e abbandono della sua Creatura. Maria dice fra le lacrime uno dei suoi sublimi "Si". "Sì, Si­gnore, si faccia di me secondo la tua parola". E, per aver for­za in quell'ora, si stringe a Me. Sempre si è stretta a Dio, Maria, nelle ore più gravi della sua vita. Nel Tempio chiamata alle nozze, a Nazareth chia­mata alla Maternità, ancora a Nazaret fra le lacrime della ve­dovanza, a Nazaret nel supplizio del distacco dal Figlio, sul Calvario nella tortura del vedermi morire. ìmparate, voi che piangete.

E imparate voi che morite. Imparate voi, che vivete per morire. Cercate di meritare le pa­role che dissi a Giuseppe. Saranno la vostra pace nella lotta della morte. Imparate, voi che morite, a meritare d'aver Gesù vicino, a vostro conforto. E, se anche non l'avete meritato, osate ugualmente di chiamarmi vicino. Io verrò. Le mani piene di grazie e di conforti, il cuore pieno di perdono e d'amore, le lab­bra piene di parole di assoluzione e di incoraggiamento. La morte perde ogni asprezza se avviene fra le mie brac­cia. Credetelo. Non posso abolire la morte, ma la rendo soave a chi muore fidando in Me. Il Cristo l'ha detto per tutti voi, sulla sua Croce: "Signore, confido a Te lo spirito mio".

 L' ha detto pensando, nella sua, alle vostre agonie, ai vostri terrori, ai vostri errori, ai vostri timori, ai vostri desideri di perdono. L'ha detto col cuore spac­cato di strazio, prima che per la lanciata, e strazio spirituale più che fisico, perché le agonie di coloro che muoiono pensan­do a Lui fossero addolcite dal Signore e lo spirito passasse dal­la morte alla Vita, dal dolore al gaudio, in eterno. Questa, piccolo Giovanni, la lezione di oggi. Sii buona e non temere. La mia pace rifluirà in te sempre, attraverso la parola e attraverso la contemplazione. Vieni. Fa' conto d'es­sere Giuseppe, che ha per guanciale il petto di Gesù ed ha per infermiera Maria. Riposa fra noi come un bambino nella cu­na».