domenica 13 marzo 2011

Brano tratto da: L'evangelo come mi è stato rivelato di Maria Valtorta

L'addio alla Madre e partenza da Nazareth. Il pianto e la preghiera della Corredentrice.

Vedo l'interno della casa di Nazareth. Vedo una stanza, pare un tinello dove la Famiglia prenda i pasti e sosti nelle ore di riposo. (…) Alla tavola è seduto Gesù. Mangia e Maria lo serve andan­do e venendo da una porticina, che suppongo conduca al posto dove è il focolare, del quale si vede il bagliore dalla porta soc­chiusa. Gesù dice due o tre volte a Maria di sedere... e di mangiare Essa pure. Ma Lei non vuole, scuote il capo sorridendo mesta­mente e porta, dopo le verdure lessate, che mi pare abbiano il ruolo di minestra, dei pesci arrostiti e poi un formaggio piut­tosto molle, come un pecorino fresco, di forma appallottolata come una di quelle pietre che si vedono nei torrenti, e delle ulive piccole e scure. Il pane, e poco alto, è già sulla tavola.

E' piut­tosto scuro, come non fosse privato del cruschello. Gesù ha da­vanti un'anfora con dell'acqua e una coppa. Mangia in silen­zio, guardando la Mamma con doloroso amore. Maria, lo si vede visibilmente, è in pena. Va, viene, per darsi un contegno. Accende, e vi è ancora luce sufficiente, una lu­cerna e la mette presso a Gesù, e nell'allungare il braccio ca­rezza la testa del Figlio furtivamente, riapre una bisaccia, che mi pare di quelle stoffe tessute a mano di lana vergine e per­ciò impermeabile, color nocciola, vi fruga dentro, esce nell'orticello e va in fondo ad esso, in una specie di ripostiglio, ne esce con delle mele piuttosto vizze, certo conservate dall'estate, e le mette nella bisaccia, poi prende un pane e una formaggella e unisce anche questa, per quanto Gesù non voglia, dicendo che basta ciò che ha.

Poi Maria si accosta alla tavola di nuovo, dal lato più stretto, alla sinistra di Gesù, e lo guarda mangiare. Se lo guarda con struggimento, con adorazione, con il volto ancor più pallido del solito e che la pena rende come invecchiato, con gli occhi più grandi per un'ombra che li segna, indizio di lacrime già ver­sate. Sembrano anche più chiari del solito, come lavati dal pian­to che è già nell'occhio, pronto a cadere. Due occhi dolorosi e stanchi. Gesù, che mangia adagio e palesemente contro voglia, tanto per fare contenta la Madre, e che è pensieroso più del solito, alza il capo e la guarda.

 Incontra uno sguardo pieno di lacrime e curva il capo per lasciarla libera, limitandosi a pren­derle la manina sottile che Ella tiene appoggiata all'orlo del tavolo. Gliela prende con la sinistra e se la porta alla guan­cia, vi appoggia sopra la guancia e ve la strofina un momento per sentire la carezza di quella povera manina che trema, e poi la bacia sul dorso con tanto amore e rispetto. Vedo Maria che si porta la mano libera, la sinistra, alla boc­ca, come per soffocare un singhiozzo, e poi si asciuga con le dita un lacrimone che è traboccato dal ciglio e riga la guancia. Gesù riprende a mangiare e Maria esce svelta svelta nel­l'orticello, dove è ormai poca luce, e scompare. Gesù appoggia il gomito sinistro sul tavolo, e sulla mano appoggia la fronte e si immerge nei suoi pensieri, smettendo di mangiare. Poi ascolta e si alza.

 Esce anche Lui nell'orto e, dopo esser­si guardato intorno, si dirige verso destra, rispetto al lato del­la casa, ed entra, per una spaccatura, in una parete rocciosa, dentro a quello che riconosco per il laboratorio del falegname, questa volta tutto ordinato, senza assi, senza trucioli, senza fuoco acceso. Vi è il bancone e gli utensili, tutti al loro posto, e basta. Curva sul bancone, Maria piange. Sembra una bambina. Ha il capo sul braccio sinistro ripiegato e piange senza rumo­re, ma con molto dolore. Gesù entra piano e le si accosta così leggermente che Ella capisce che è lì solo quando il Figlio le posa la mano sulla testa china, chiamandola: «Mamma!» con voce di amoroso rimprovero.

Maria alza la testa e guarda Gesù fra un velo di pianto e si appoggia a Lui, con le due mani congiunte, contro al suo braccio destro. Gesù le asciuga il volto con un lembo della sua larga manica e poi l'abbraccia, tirandosela sul cuore e bacian­dola sulla fronte. Gesù è maestoso, sembra più virile del soli­to, e Maria sembra più bambina, fuorché nel volto che il dolo­re segna. «Vieni, Mamma» le dice Gesù e, tenendola stretta a Sé col braccio destro, si incammina tornando nell'orto, dove si sie­de su un banco contro il muro della casa. L'orto è silenzioso e ormai oscuro. Vi è solo un bel chiaro di luna e la luce che esce dal tinello. La notte è serena. Gesù parla a Maria.

Non intendo in principio le parole appena mormorate, alle quali Maria assente col capo. Poi odo: «E fàtti venire le parenti. Non rimanere sola. Sarò più tran­quillo, Madre, e tu sai se ho bisogno d'esser tranquillo per com­piere la mia missione. Il mio amore non ti mancherà. Io verrò sovente e ti farò avvertire quando sarò in Galilea e non potrò venire a casa. Tu verrai da Me, allora. Mamma, quest'ora do­veva venire. Si è iniziata qui, quando l'Angelo ti apparve; ora scocca e noi dobbiamo viverla, non è vero, Mamma? Dopo ver­rà la pace della prova superata e la gioia. Prima bisogna vali­care questo deserto come gli antichi Padri per entrare nella Terra Promessa.

Ma il Signore Iddio ci aiuterà come aiutò lo­ro. E ci darà il suo aiuto come manna spirituale per nutrire il nostro spirito nello sforzo della prova. Diciamo insieme al Padre nostro...». E Gesù si alza e Maria con Lui e alzano il volto al cielo. Due ostie vive che lucono nell'oscurità. Gesù dice lentamente, ma con voce chiara e scandendo le parole, la preghiera dominicale. Appoggia molto sulle frasi: «adveniat Reguum tuum, fiat voluntas tua» distanziando mol­to queste due frasi dalle altre. Prega con le braccia aperte, non proprio a croce, ma come stanno i sacerdoti quando si volgono a dire: «Dominus vobiscum». Maria tiene le mani congiunte.

Poi tornano in casa e Gesù, che non ho mai visto bere vino, versa in una coppa, da un'anfora presa sulla scansia, un poco di vino bianco e la porta sulla tavola, prende per mano Maria e la obbliga a sedersi vicino a Lui e a bere di quel vino, in cui intinge una fettina di pane che le fa mangiare. L'insi­stenza è tale che Maria cede. Gesù beve il rimanente vino. E poi si stringe la Mamma al fianco e se la tiene così, contro la persona, dalla parte del cuore. Né Gesù né Maria stanno sdraia­ti, ma seduti come noi. Non parlano più. Attendono. Maria ca­rezza la mano destra di Gesù e le sue ginocchia. Gesù carezza Maria sul braccio e sul capo. Poi Gesù si alza e Maria con Lui e si abbracciano e si ba­ciano amorosamente più e più volte. Sembra che sempre si vo­gliano lasciare, ma Maria torna a stringere a sé la sua Crea­tura.

E' la Madonna, ma è una mamma infine, una mamma che si deve staccare dal suo figlio e che sa dove conduce quel distacco. Non mi si venga più a dire che Maria non ha soffer­to. Prima lo credevo poco, ora più affatto. Gesù prende il mantello (blu scuro) e se lo drappeggia sul­le spalle e sul capo a cappuccio. Poi si passa a tracolla la bi­saccia, di modo che non gli ostacoli il cammino. Maria lo aiu­ta e mai finisce di accomodargli la veste e il manto e il cap­puccio, e intanto lo carezza ancora. Gesù va verso l'uscio dopo avere tracciato un gesto di be­nedizione nella stanza.

Maria lo segue e sull'uscio ormai aperto si baciano ancora. La via è silenziosa e solitaria, bianca di luna. Gesù si in­cammina. Si volta ancora per due volte a guardare la Mam­ma, che è rimasta appoggiata allo stipite, più bianca della lu­na e tutta lucente di pianto silenzioso. Gesù si allontana sem­pre più per la viuzza bianca. Maria piange sempre contro la porta. Poi Gesù scompare ad una svolta della via. E' cominciato il suo cammino di Evangelizzatore, che ter­minerà al Golgota. Maria entra piangendo e chiude la porta. Anche per Lei è cominciato il cammino che la porterà al Gol­gota. E per noi...

Dice Gesù: «Questo è il quarto dolore di Maria Madre di Dio. Il primo, la presentazione al Tempio; il secondo, la fuga in Egitto; il terzo, la morte di Giuseppe; il quarto, il mio distacco da Lei. Conoscendo il desiderio del Padre, ti ho detto ieri sera che affretterò la descrizione dei "nostri" dolori perché siano resi noti. Ma, come vedi, già ne erano stati illustrati di quelli di mia Madre. Ho spiegato prima la fuga che la presentazione, perché vi era bisogno di farlo in quel giorno. Io so.

 E tu com­prendi e dirai il perché al Padre. A voce. E' mio disegno alternare le tue conteìnplazioni, e le mie conseguenti spiegazioni, coi dettati veri e propri, per solleva­re te e il tuo spirito dandoti la beatitudine del vedere, e anche perché così è palese la differenza stilistica fra il tuo comporre ed il mio. Inoltre, davanti a tanti libri che parlano di Me e che, tocca e ritocca, muta e infronzola, sono divenuti irreali, Io ho desi­derio di dare a chi in Me crede una visione riportata alla veri­tà del mio tempo mortale. Non ne esco diminuito, ma anzi re­so più grande nella mia umiltà, che si fa pane a voi per inse­gnarvi ad essere umili e simili a Me, che fui uomo come voi e che portai nella mia veste d'uomo la perfezione di un Dio.

Dovevo essere Modello vostro, e i modelli devono essere sem­pre perfetti. Non terrò nelle contemplazioni una linea cronologica cor­rispondente a quella dei Vangeli. Prenderò i punti che trove­rò più utili in quel giorno per te o per altri, seguendo una mia linea di insegnamento e di bontà. L'insegnamento che viene dalla contemplazione del mio distacco va specialmente ai genitori e ai figli, che la volontà di Dio chiama alla rinuncia reciproca per un più alto amore. In secondo luogo va a tutti coloro che si trovano di fronte ad una rinuncia penosa. Quante ne trovate nella vita! Esse sono spine sulla terra e trafiggenti il cuore, lo so.

 Ma a chi le accoglie con rassegna­zione - badate, non dico: "a chi le desidera e le accoglie con gioia (ciò è già perfezione); dico: '' con rassegnazione, - si mutano in eterne rose. Ma pochi le accolgono con rassegna­zione. Come asinelli restii, recalcitrate al volere del Padre e vi impuntate, se pur non cercate colpire con spirituali calci e morsi, ossia con ribellione e bestemmie al buon Dio. E non dite: "Ma io non avevo che questo bene e Dio me l'ha tolto. Ma io non avevo che questo affetto e Dio me l'ha strappato". Anche Maria, donna gentile, amorosa alla perfe­zione, perché nella Tutta Grazia anche le forme affettive e sen­sitive erano perfette, non aveva che un bene e un amore sulla terra: il Figlio suo. Non le rimaneva che Quello.

 I genitori morti da tempo, Giuseppe morto da qualche anno. Non c'ero che Io per amarla e farle sentire che non era sola. I parenti, per ca­gione di Me, di cui non sapevano l'origine divina, le erano un poco ostili, come verso una mamma che non sa imporsi al fi­glio che esce dal comune buon senso, che rifiuta le nozze pro­poste, le quali potrebbero dare lustro alla famiglia, e aiuto anche. I parenti, voce del senso comune, del senso umano - voi lo chiamate buon senso, ma non è che senso umano, ossia egoi­smo - avrebbero voluto queste pratiche svolte nella mia vita. In fondo c'era sempre la paura di dovere un giorno passare delle noie per causa mia, che già osavo mettere fuori delle idee troppo idealiste, secondo loro, le quali potevano urtare la sinagoga. La storia ebraica era piena di inseguamenti sulla sorte dei pro­feti.

Non era una facile missione quella del profeta, e dava so­vente morte allo stesso e noie al parentado. In fondo c'era sem­pre il pensiero di dovere, un giorno, occuparsi di mia Madre. Perciò il vedere che Ella non mi ostacolava in nulla e pare­va in continua adorazione davanti al Figlio, li urtava. Questo urto sarebbe poi cresciuto nei tre anni di ministero, sino a cul­minare nei rimproveri aperti quando mi raggiungevano in mez­zo alle folle e si vergognavano della mia, secondo loro, mania di urtare le caste potenti.

Rimprovero a Me e a Lei, povera Mamma! Eppure Maria, che sapeva l'umore dei parenti - non tut­ti furono come Giacomo e Giuda e Simone, né come la loro ma­dre Maria di Cleofa - e che prevedeva l'umore futuro, Maria, che sapeva la sua sorte durante quei tre anni e quella che l'at­tendeva alla fine degli stessi e la sorte mia, non recalcitrò co­me voi fate. Pianse.

E chi non avrebbe pianto davanti ad una separazione da un figlio che l'amava come Io l'amavo, davan­ti alla prospettiva dei lunghi giorni, vuoti della mia presenza, nella casa solitaria, davanti al futuro del Figlio destinato a dare di cozzo contro il malanimo di chi era colpevole e che si vendicava d'esser colpevole offendendo l'Incolpevole sino ad ucciderlo? Pianse perché era la Corredentrice e la Madre del genere umano rinato a Dio, e doveva piangere per tutte le mamme che non sanno fare, del loro dolore di madri, una corona di glo­ria eterna.

 Quante madri nel mondo, a cui la morte svelle dalle brac­cia una creatura! Quante madri a cui un soprannaturale vole­re strappa dal fianco un figlio! Per tutte le sue figlie, come Ma­dre dei cristiani, per tutte le sue sorelle, nel dolore di madre orbata, ha pianto Maria. E per tutti i figli che, nati da donna, sono destinati a divenire apostoli di Dio o martiri per amore di Dio, per fedeltà a Dio, o per ferocia umana. Il mio Sangue e il pianto di mia Madre sono la mistura che fortifica questi segnati a eroica sorte, quella che annulla in loro le imperfezioni, o anche le colpe commesse dalla loro debolezza, dando, oltre al martirio, comunque subito, la pace di Dio e, se sofferto per Dio, la gloria del Cielo.

Le trovano i missionari come fiamma che scalda nelle re­gioni dove la neve impera, le trovano come rugiada là dove il sole arde. Sono spremute dalla carità di Maria e sono sgor­gate da un cuore di giglio. Hanno perciò, della carità vergina­le sposata all'Amore, il fuoco, e della verginale purezza la pro­fumata frescura, simile a quella dell'acqua raccolta nel calice di un giglio dopo una notte rugiadosa. Le trovano i consacrati in quel deserto che è la vita mona­stica bene intesa: deserto, perché non vive che l'unione con Dio, e ogni altro affetto cade divenendo unicamente carità sopran­naturale: per i parenti, gli amici, i superiori, gli inferiori. Le trovano i consacrati a Dio nel mondo, nel mondo che non li capisce e non li ama, deserto anche per questi, in cui essi vivono come fossero soli, tanto sono incompresi e derisi per amor mio.

 Le trovano le mie care "vittime", perché Maria è la pri­ma delle vittime per amore di Gesù, ed alle sue seguaci Ella dà, con mano di Madre e di Medico, le sue lacrime che ristorano e inebbriano a più alto sacrificio. Santo pianto della Madre mia! Maria prega. Non si rifiuta di pregare perché Dio le dà un dolore. Ricordatelo. Prega insieme a Gesù. Prega il Padre. Nostro e vostro. Il primo "Pater noster" è stato pronunciato nell'orto di Nazareth per consolare la pena di Maria, per offrire le "no­stre" volontà all'Eterno nel momento che si iniziava per que­ste volontà il periodo di sempre crescente rinunzia, culminan­te a quella della vita per Me e della morte di un Figlio per Maria.

 E, per quanto noi non avessimo nulla da farci perdonare dal Padre, pure per umiltà noi, i Senza Colpa, abbiamo chie­sto il perdono del Padre per andare perdonati, assolti anche di un sospiro, incontro alla nostra missione degnamente. Per insegnarvi che piu si è in grazia di Dio e più la missione è be­nedetta e fruttuosa. Per insegnarvi il rispetto a Dio e l'umil­tà. Davanti a Dio Padre anche le nostre due perfezioni di Uo­mo e di Donna si sono sentite nulla e hanno chiesto perdono. Come hanno chiesto il "pane quotidiano". Quale era il nostro pane? Oh! non quello impastato dalle pure mani di Maria e cotto nel piccolo forno, per il quale tante volte avevo formato fastelli e fascine.

 Anche quello necessa­rio finché si è sulla terra. Ma il "nostro" pane quotidiano era quello di fare giorno per giorno la nostra parte di missione. Che Dio ce la desse ogni giorno, perché fare la missione che Dio dà è la gioia del "nostro" giorno, non è vero, piccolo Gio­vanni? Non lo dici anche tu che ti par vuoto il giorno, ti pare non stato, se la bontà del Signore ti lascia un giorno senza la tua missione di dolore? Maria prega insieme a Gesù. E' Gesù che vi giustifica, fi­gli. Sono Io che rendo accettevoli e fruttuose le vostre preghiere presso il Padre.

 Io l'ho detto: "Tutto quello che chiederete al Padre in mio nome, Egli ve lo concederà", e la Chiesa avvalo­ra le sue orazioni dicendo: "Per Gesù Cristo Signor nostro". Quando pregate, unitevi sempre, sempre, sempre a Me. Io pregherò a voce alta per voi, coprendo la vostra voce di uomi­ni con la mia di Uomo-Dio. Io metterò sulle mie mani trafitte la vostra preghiera e l'eleverò al Padre. Diverrà ostia di pre­gio infinito. La mia voce fusa con la vostra salirà come bacio filiale al Padre, e la porpora delle mie ferite farà prezioso il vostro pregare. Siate in Me se volete avere il Padre in voi, con voi, per voi. Hai finito la narrazione dicendo: "E per noi...", e vole­vi dire: "per noi che siamo così ingrati verso questi Due che hanno montato il Calvario per noi". Hai fatto bene a mettere quelle parole. Mettile ogni volta che ti farò vedere un nostro dolore. Sia come la campana che suona e che chiama a medi­tare e a pentirsi. Basta, ora. Riposa. La pace sia con te».

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