venerdì 11 marzo 2011

Brano tratto da: L'evangelo come mi è stato rivelato di Maria Valtorta - la morte di Giuseppe -

 Gesù è la pace di chi soffre e di chi muore. Vedo un interno di laboratorio da falegname. (…) Gesù lavora ad un tavolone da falegname. Sta piallando delle tavole che poi addossa al muro dietro a Sé. Poi prende una specie di sgabello, stretto a due lati in una morsa, lo libe­ra dalla stessa, guarda se il lavoro è esatto, lo squadra in tutti i sensi, poi va al camino, prende il pentolino e vi fruga dentro con un bastoncino o pennello, non so; io vedo solo la parte che sporge e che è simile a un bastoncino. Gesù è vestito di nocciola scuro e ha la tunica piuttosto corta, le maniche rimboccate oltre il gomito e una specie di grem­biule davanti, nel quale si sfrega le dita dopo aver toccato il pentolino. E' solo.

 Lavora assiduamente ma con pacatezza. Nessuna mossa disordinata, impaziente. E' preciso e continuo nel suo lavoro. Non si infastidisce di nulla, né di un nodo nel legno che non si lascia piallare, né di un cacciavite (mi pare) che gli cade due volte dal banco, né del fumo sparso che gli deve an­dare negli occhi. Ogni tanto alza il capo e guarda verso la parete sud, dove è una porta chiusa, come ascoltando. A un dato momento si affaccia, aprendo una porta che è nella parete est e che dà sul a via. Vedo uno squarcio di viuzza polverosa. Sembra che at­tenda qualcuno. Poi torna al lavoro. Non è triste, ma è serio. Rinchiude l'uscio e torna al lavoro. Mentre è occupato a fabbricare qualcosa che mi sembra­no pezzi di cerchio di ruota, entra la Mamma. Entra da una porta della parete meridionale.

 Entra affrettatamente e corre verso Gesù. E' vestita di azzurro cupo è senza nulla sul capo. Una semplice tunica, tenuta stretta alla vita da un cordone d'uguale colore. Chiama con affanno il Figlio e gli si appoggia con ambo le mani ad un braccio con mossa di supplica e di do­lore. Gesù la carezza passandole il braccio sulla spalla e la con­forta, poi si avvia con Essa lasciando subito il lavoro e levan­dosi il grembiule. Penso che lei voglia sapere anche le parole dette. Ben po­che da parte di Maria: «Oh! Gesù! Vieni, vieni. Sta male!».
Vengono dette con labbra che tremano e con un luccichìo di pianto negli occhi arrossati e stanchi. Gesù non dice che: «Mamma!» ma vi è tutto in quella parola.

Entrano nella stanza accanto, tutta ridente di sole che en­tra da una porta spalancata su un orticello pieno di luce e di verde, nel quale svolazzano dei colombi fra uno sventolìo di panni stesi ad asciugare. La stanza è povera ma ordinata. Vi è un giaciglio basso, coperto di materassini (dico materassini perché sono certe cose alte e morbide, ma non è un letto come il nostro). Su esso, appoggiato a molti cuscini, è Giuseppe. E' morente. Lo dice chiaramente il volto di un pallore livido, l'oc­chio spento, il petto anelante e l'abbandono di tutto il corpo. Maria si mette alla sua sinistra, gli prende la mano ru­gosa e livida nelle unghie, la strofina, la carezza, la bacia, gli asciuga con un pannilino il sudore che fa righe lucide alle tem­pie incavate, la lacrima che si invetra nell'angolo dell'occhio, gli bagna le labbra con un lino intinto in un liquido che pare vino bianco. Gesù si mette a destra.

Solleva con sveltezza e cura il cor­po che si affossa, lo raddrizza sui cuscini che accomoda insie­me a Maria. Carezza sulla fronte l'agonizzante e cerca di ria­nimarlo. Maria piange piano, senza rumore, ma piange. I lacrimoni rotolano lungo le guance pallide sino sulla veste azzurro cupo e sembrano zaffiri lucenti. Giuseppe si rianima alquanto e guarda fisso Gesù, gli dà la mano come per dirgli qualcosa e per avere, al contatto divino, forza nell'ultima prova. Gesù si china su quella mano e la bacia. Giuseppe sorride. Poi si volge a cercare con lo sguar­do Maria e sorride anche a Lei. Maria si inginocchia presso il letto cercando di sorridere. Ma le riesce male e curva il ca­po. Giuseppe le mette la mano sul capo con una casta carezza che pare una benedizione.

Non si sente che lo svolazzìo e il tubare dei colombi, il fru­sciare delle foglie, un chioccolìo di acqua e, nella stanza, il re­spiro del morente. Gesù gira intorno al letto, prende uno sgabello e fa sedere Maria chiamandola ancora e unicamente: «Mamma». Poi tor­na al suo posto e riprende nelle sue la mano di Giuseppe. E' così vera la scena che io piango per la pena di Maria. Poi Gesù, curvandosi sul morente, gli mormora un salmo. So che è un salmo, ma ora non posso dirle quale. Comincia così: «Proteggimi, o Signore, perché in Te ho posto la mia speranza... A pro dei santi che sono nella terra di lui ha compiuto mi­rabilmente tutti i miei desideri...Benedirò il Signore che mi dà consiglio... Io tengo sempre dinnanzi a me il Signore. Egli mi sta alla destra perché io non vacilli. Per questo si rallegra il mio cuore ed esulta la mia lingua, anche il mio corpo riposerà nella speranza.

Perché Tu non abbandonerai l'anima mia nel soggiorno dei morti, né permetterai che il tuo santo veda la corruzione. Mi farai conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia colla tua faccia.» Giuseppe si rianima tutto e con uno sguardo più vivo sorri­de a Gesù e gli stringe le dita. Gesù risponde con un sorriso al sorriso e con una carezza alla stretta, e continua dolcemente, curvo sul suo padre pu­tativo: «Quanto sono amabili i tuoi Tabernacoli, o Signore. L'anima mia si consuma di desiderio verso gli atrii del Signore. Anche il passero si trova una casa e la tortorella un nido per i suoi nati. Io desidero i tuoi altari, Signore. Beati coloro che abitano la tua casa... Beato l'uomo che trova in Te la sua forza. Egli ha disposte nel suo cuore le ascensioni dalla valle delle lacrime al luogo eletto. O Signore, ascolta la mia preghiera... O Dio, volgi il tuo sguardo e mira la faccia del tuo Cri­sto...».

Giuseppe con un singhiozzo guarda Gesù e fa il moto di par­lare come per benedirlo. Ma non può. Si comprende che capi­sce, ma ha la parola impedita. E' però felice e guarda con vi­vacità e fiducia il suo Gesù. «"O Signore"» continua Gesù. «"Tu sei stato propizio alla tua terra, hai liberato dalla schiavitù Giacobbe... Mostraci, o Signore, la tua misericordia e donaci il tuo Sal­vatore. Voglio sentire quel che dice dentro di me il Signore Iddio. Certo Egli parlerà di pace al suo popolo per i suoi santi e per chi di cuore torna a Lui.

Si, la tua salute è vicina... e la gloria abiterà sulla terra... La bontà e la verità si sono incontrate, la giustizia e la pace si sono baciate. La verità è spuntata dalla terra e la giustizia ha guardato dal Cielo. Si, il Signore si mostrerà benigno e la nostra terra darà il suo frutto. La giustizia camminerà dinnanzi a Lui e lascerà nella via le sue impronte". Tu l'hai vista quest'ora, padre, e per essa ti sei affaticato. Tu hai aiutato quest'ora a formarsi, e il Signore te ne darà premio. Io te lo dico» aggiunge Gesù, asciugando una lacri­ma di gioia che scende lenta sulla guancia di Giuseppe.

Poi riprende: «"O Signore, ricordati di Davide e di tutta la sua mansuetudine. Come egli giurò al Signore: io non entrerò dentro alla mia casa, non salirò sul letto del mio riposo, non concederò sonno agli occhi miei, non riposo alle mie palpebre, non requie alle mie tempie finché non ho trovato un posto al Signore, una di­mora per il Dio di Giacobbe... Sorgi, o Signore, e vieni al tuo riposo, Tu e l'Arca della tua santità (Maria comprende e ha uno scoppio di pianto). Sian rivestiti di giustizia i tuoi sacerdoti e faccian festa i tuoi santi.

Per amore di Davide tuo servo non negarci il volto del tuo Cristo. Il Signore ha giurato a Davide la promessa e la manterrà: 'Porrò sul tuo trono il frutto del tuo seno'. Il Signore l'ha scelta a sua dimora...Io farò fiorire la potenza di Davide preparando una fiacco­la accesa per il mio Cristo". Grazie, padre mio, per Me e per la Madre. Tu mi sei stato padre giusto, e te ha posto l'Eterno a custodia del suo Cri­sto e della sua Arca. Tu fosti la fiaccola accesa per Lui, e per il Frutto del seno santo hai avuto viscere di carità. Va' in pa­ce, padre. La Vedova non sarà senza aiuto. Il Signore ha pre­disposto perché sola non sia. Vai sereno al tuo riposo. Io te lo dico».

Maria piange col volto curvo sulle coperte (sembrano man­telli) stese sul corpo di Giuseppe, che si raffredda. Gesù affret­ta i suoi conforti, perché l'anelito si fa più affannoso e lo sguar­do torna a velarsi. «Felice l'uomo che teme il Signore e pone nei suoi co­mandamenti ogni diletto... La giustizia di lui rimane nei secoli dei secoli. Fra gli uomini retti sorge fra le tenebre come luce il mise­ricordioso, il benigno, il giusto... Il giusto sarà ricordato in eterno... La sua giustizia è eter­na, la sua potenza si alzerà fino alla gloria... Tu l'avrai questa gloria, padre. Presto verrò a trarti, coi Patriarchi che ti hanno preceduto, alla gloria che ti attende. Esulti il tuo spirito nella mia parola. "Chi riposa nell'aiuto dell'Altissimo vive sotto la protezione del Dio del Cielo. Tu vi sei, padre mio. "

Egli mi liberò dal laccio dei cacciatori e dalle aspre parole. Ti coprirà colle sue ali e sotto alle sue penne troverai rifugio. La sua verità ti circonderà come scudo, non temerai i not­turni spaventi... Non si avvicinerà a te il male... perché ai suoi angeli ha dato l'ordine di custodirti in tutte le tue vie. Ti porteranno sulle loro palme, affinché il tuo piede non urti nei sassi. Camminerai sopra l'aspide e il basilisco e calpesterai il dra­gone e il leone. Perché hai sperato nel Signore, Egli ti dice, o padre, che ti libererà e ti proteggerà. Perché hai alzato a Lui la tua voce ti esaudirà, sarà teco nella tribolazione ultima, ti glorificherà dopo questa vita, fa­cendoti vedere già da questa la sua Salvezza",

e nell'altra fa­cendoti entrare, per la Salvezza che ora ti conforta e che pre­sto, oh!, presto verrà, te lo ripeto, a cingerti di un abbraccio divino e a portarti Seco, alla testa di tutti i Patriarchi, là dove è preparata la dimora del Giusto di Dio che mi fu padre be­nedetto. Precedimi per dire ai Patriarchi che la Salvezza è nel mon­do e il Regno dei Cieli presto sarà a loro aperto. Va', padre. La mia benedizione ti accompagni». La voce di Gesù si è elevata per giungere alla mente di Giuseppe, che sprofonda nelle nebbie della morte. La fine è imminente. Il vecchio ansima a fatica. Maria lo carezza, Gesù si siede sulla sponda del lettuccio e cinge e attira a Sé il mo­rente, che si accascia e si spegne senza sussulti. La scena è piena di una pace solenne. Gesù riadagia il Pa­triarca e abbraccia Maria, che in ultimo si era avvicinata a Gesù nello strazio che la angosciava.

Dice Gesù: «A tutte le mogli che un dolore tortura, insegno ad imita­re Maria nella sua vedovanza: unirsi a Gesù. Quelli che pensano che Maria non abbia sofferto per le pe­ne del cuore, sono in errore. Mia Madre ha sofferto. Sappiatelo. Santamente, perché tutto in Lei era santo, ma acutamente. Coloro che pensano che Maria amasse di un amore tiepido lo sposo, poiché le era sposo di spirito e non di carne, sono pa­rimenti in errore. Maria amava intensamente il suo Giusep­pe, al quale aveva dedicato sei lustri di vita fedele.

Giuseppe le era stato padre, sposo, fratello, amico, protettore. Ora Ella si sentiva sola come tralcio di vite al quale viene segato l'albero a cui si reggeva. La sua casa era come colpita dal fulmine. Si divideva. Prima era una unità in cui i membri si sostenevano a vicenda. Ora veniva a mancare il muro mae­stro, primo dei colpi inferti a quella Famiglia, segnacolo del prossimo abbandono del suo amato Gesù.

La volontà dell'Eterno, che l'aveva voluta sposa e Madre, ora le imponeva vedovanza e abbandono della sua Creatura. Maria dice fra le lacrime uno dei suoi sublimi "Si". "Sì, Si­gnore, si faccia di me secondo la tua parola". E, per aver for­za in quell'ora, si stringe a Me. Sempre si è stretta a Dio, Maria, nelle ore più gravi della sua vita. Nel Tempio chiamata alle nozze, a Nazareth chia­mata alla Maternità, ancora a Nazaret fra le lacrime della ve­dovanza, a Nazaret nel supplizio del distacco dal Figlio, sul Calvario nella tortura del vedermi morire. ìmparate, voi che piangete.

E imparate voi che morite. Imparate voi, che vivete per morire. Cercate di meritare le pa­role che dissi a Giuseppe. Saranno la vostra pace nella lotta della morte. Imparate, voi che morite, a meritare d'aver Gesù vicino, a vostro conforto. E, se anche non l'avete meritato, osate ugualmente di chiamarmi vicino. Io verrò. Le mani piene di grazie e di conforti, il cuore pieno di perdono e d'amore, le lab­bra piene di parole di assoluzione e di incoraggiamento. La morte perde ogni asprezza se avviene fra le mie brac­cia. Credetelo. Non posso abolire la morte, ma la rendo soave a chi muore fidando in Me. Il Cristo l'ha detto per tutti voi, sulla sua Croce: "Signore, confido a Te lo spirito mio".

 L' ha detto pensando, nella sua, alle vostre agonie, ai vostri terrori, ai vostri errori, ai vostri timori, ai vostri desideri di perdono. L'ha detto col cuore spac­cato di strazio, prima che per la lanciata, e strazio spirituale più che fisico, perché le agonie di coloro che muoiono pensan­do a Lui fossero addolcite dal Signore e lo spirito passasse dal­la morte alla Vita, dal dolore al gaudio, in eterno. Questa, piccolo Giovanni, la lezione di oggi. Sii buona e non temere. La mia pace rifluirà in te sempre, attraverso la parola e attraverso la contemplazione. Vieni. Fa' conto d'es­sere Giuseppe, che ha per guanciale il petto di Gesù ed ha per infermiera Maria. Riposa fra noi come un bambino nella cu­na».


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